Riserva lavori per categorie protette

L.S.
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza 14 gennaio 2009 n. 561, conferma la propria posizione in punto di giurisdizione nelle controversie relative al riconoscimento della riserva di posti di lavoro per le categorie protette ex L. n. 68 del 1999 ai fini del conferimento degli incarichi.
La Corte riconosce infatti che appartengono alla giurisdizione ordinaria le controversie in materia di pubblico impiego aventi ad oggetto l’assunzione di disabili in forza della riserva prevista in loro favore dalla l. n. 68/1999, laddove l’oggetto del contendere concerna il riparto dei posti dei riservatari nell’ambito delle diverse fasce, trattandosi in tale ipotesi di questioni sorte successivamente alla fase amministrativa, che deve ritenersi conclusa con l’approvazione della graduatoria.
Diversamente, pertanto, devono ritenersi appartenenti alla giurisdizione del Giudice Amministrativo tutte le controversie nelle quali venga in contestazione la fase amministrativa della selezione dei concorrenti, ivi comprese le contestazioni avverso la graduatoria, da considerarsi atto conclusivo della suddetta fase.

Trasferimento per incompatibilità ambientale

L.S.
Il trasferimento per incompatibilità ambientale di un soggetto appartenente alle Forze dell’Ordine deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 e ss. della l. n. 241/90. Il Tar Toscana, ribadendo il suddetto principio, conferma l’orientamento ormai prevalente – che ha superato ormai da tempo le precedenti posizioni sul punto – per cui “anche per l’appartenente ai corpi militari dello Stato il trasferimento d’autorità per incompatibilità ambientale deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento” (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7579; Consiglio Stato,sez. IV, 07 marzo 2005, n. 867; TAR Abruzzo, Pescara, 23 gennaio 2003 n. 2004; TAR Veneto, n. 784/04; TAR Liguria, n. 1579/03) quando non sussistano ragioni di celerità che ne giustifichino l’omissione. La mancanza della comunicazione suddetta lede, infatti, il diritto di difesa del soggetto che si trova a subire un provvedimento d’autorità, con trasferimento ad altra sede di servizio, senza conoscere previamente le motivazioni del trasferimento e quindi senza avere la possibilità di contraddire in merito alle stesse.
In mancanza di specifiche motivazioni di urgenza, l’omissione comporta quindi l’invalidità del provvedimento.

Il provvedimento di decadenza dell’affidamento dei servizi locali rientra nella giurisdizione amministrativa

M.P.C.
Nella quasi infinita discussione sui limiti della giurisdizione esclusiva amministrativa, si segnala la decisione del Consiglio di Stato (Sezione V, n. 6159/2008) che afferma la giurisdizione amministrativa sulla controversia in tema di provvedimento di decadenza (parziale o totale che sia) della concessione di un servizio pubblico locale (nel caso, il servizio entrate comunali).
In primo grado, il TAR della Calabria aveva dichiarato inammissibile, per difetto di giurisdizione, il ricorso proposto per ottenere l’annullamento di una determinazione dirigenziale di un Comune che concerneva la decadenza dell’affidamento di un servizio.
Il Consiglio di Stato ha ribaltato tale conclusione, affermando che, malgrado l’intervento “manipolativo” (da notare l’aggettivo spregiativo) della Corte costituzionale con la sentenza n. 204/2004, “il giudice amministrativo mantiene una giurisdizione esclusiva sull’affidamento dei servizi, e nell’alveo semantico della nozione di affidamento rientra pure il suo contrario, ossia ogni atto di autotutela decisorio volto a far cessare il servizio affidato”. Nel caso di specie (affidamento del servizio di accertamento e riscossione dei tributi e delle altre entrate locali), siamo per certo poi in presenza di una concessione amministrativa di servizio pubblico, ed il principio generale può trovare conferma.
La conclusione non fa una grinza, anche se la motivazione è qua e là discutibile; come nel passaggio, inutile e di dubbio fondamento, circa l’assimilabilità del caso al rapporto di partenariato pubblico-privato.
La parola finale spetta però alla Cassazione, considerato anche che nella fattispecie (che ritorna per l’ulteriore corso al TAR Calabria) è probabile che sia sollevato regolamento di giurisdizione.

È illegittimo il diniego di nulla-osta paesaggistico motivato mediante mero rinvio ai giudizi espressi dagli uffici interni

D.S.
In materia ambientale, e più esattamente in tema di nulla-osta paesaggistici, si segnale una recente sentenza del TAR Liguria (Sez. I, 22 dicembre 2008 n. 2187).
Con la pronuncia in commento, il giudice amministrativo ha primariamente affermato la illegittimità di un provvedimento di diniego di nulla-osta paesaggistico motivato mediante mero rinvio ai giudizi espressi da organi (privi di competenza) interni all’Ente preposto alla tutela del vincolo.
Ciò, perché il TAR ha rilevato che l’organo deputato ad esprimere la volontà dell’Ente può sì far proprio un giudizio di un ufficio interno, ma non può delegare in toto a questo le sue competenze.
In altri termini, l’organo competente all’interno dell’Ente può senza dubbio esprimere determinazioni fondate sugli elementi acquisiti dalla struttura burocratica interna, ma la decisione deve pur sempre essere il frutto di una autonoma potestas decidendi.
Il TAR, inoltre, si è soffermato sulla necessità che la motivazione del diniego si sostanzi in una valutazione  basata sulla realtà dei fatti e sulle ragioni ambientali ed estetiche che ostano al rilascio del provvedimento autorizzatorio. In applicazione del principio da ultimo richiamato, si è dunque sostenuta la illegittimità di provvedimento basato esclusivamente su una asserita generica compromissione degli equilibri ambientali della zona interessata dall’intervento per incongruenze fra tipologia e materiali scelti e contesto paesaggistico; un tale diniego – ha aggiunto il TAR - non spiega, infatti, alcunché sul futuro danno alle bellezze ambientali che ne deriverebbe ed è “un mero postulato apodittico”.

In tema di servizi pubblici locali la corte costituzionale fa pieno uso del diritto comunitario e lima ulteriormente le possibilità di affidamento diretto

M.P.C.
Con recentissima sentenza (la n. 439 del 23 dicembre 2008) la Corte costituzionale interviene sul tema dell’affidamento dei servizi pubblici locali, finora molto controverso davanti ai giudici amministrativi ed alla Corte di giustizia.
La sentenza si segnala per due profili: a) la diretta applicazione del diritto comunitario anche in sede di giudizio di costituzionalità; b) l’ulteriore limitazione alle possibilità di affidamento diretto dei servizi pubblici locali a soggetto esterno all’amministrazione, anche nel caso di società di capitale interamente pubblico.
Il Governo aveva impugnato in via diretta una disposizione della legge provinciale di Bolzano n. 12/2007, per asserita violazione dei principi comunitari in tema di tutela della concorrenza, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e della Costituzione, nelle parti in cui si impone anche alla Provincia autonoma di Bolzano il rispetto dei vincoli comunitari.
La disposizione contestata consentiva l’affidamento diretto di servizi pubblici locali a società a capitale interamente pubblico con condizioni solo quantitative e non qualitative; inoltre, con condizioni quantitative meno restrittive di quelle stabilite dalla normativa comunitaria, come interpretata dalla Corte di giustizia.
Il giudizio della Corte costituzionale è molto interessante, anzitutto, per l’espressa assunzione della disciplina e della giurisprudenza comunitaria quale parametro del proprio giudizio.
Atteso pacificamente – afferma la Corte – che la Provincia autonoma debba osservare i vincoli comunitari, occorre “muovere dalla ricognizione delle norme comunitarie nella specie rilevanti e dei principi affermati in materia dalla Corte di giustizia … che sono direttamente applicabili nell’ordinamento interno e che dunque assumono rilevanza agli effetti del giudizio di costituzionalità”.
La sentenza, dopo il richiamo alla normativa comunitaria ed alla vasta giurisprudenza della Corte di giustizia che ne ha trattato, conclude nel senso dell’incostituzionalità della norma provinciale sopra indicata per contrasto con il diritto comunitario applicabile, e quindi della Costituzione e dello Statuto speciale. Malgrado che nella sentenza non vi sia un’espressa ammissione che, in tal modo, si realizza compiutamente il modello di integrazione tra ordinamento nazionale ed ordinamento comunitario prefigurato dal primo comma dell’art. 117 Cost. (come modificato nel 2001, la conclusione è chiarissima in tal senso. Così, la Corte costituzionale compie un ulteriore passo comunitario, come da tempo auspicato e come lasciato presagire dalla precedente sentenza di inizio 2008 sul rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
Nel merito della causa, è interessante notare che la Corte costituzionale limita ulteriormente i margini di affidabilità diretta a terzi dei servizi pubblici locali, anche quando il soggetto sia apparentemente poco “terzo”, perché a capitale interamente pubblico. Per la Corte, a legittimare l’affidamento non sono sufficienti criteri quantitativi, per di più limitativi rispetto alle indicazioni comunitari, occorrendo anche aspetti di natura qualitativa (ad esempio relativi alla possibile propensione dell’impresa ad effettuare investimenti anche in altri mercati).
In tal modo, per l’avvenuta saldatura completa tra diritto comunitario e diritto nazionale, divengono davvero esigui i margini per il legittimo affidamento “in house” dei servizi pubblici locali.

I mutevoli confini del “formalismo” nella giurisprudenza in materia di appalti pubblici: due recenti decisioni a confronto

M.M.
Nella lezione giurisprudenziale in materia di diritto degli appalti, si fronteggiano da sempre orientamenti più o meno “formalistici”, legati i primi a esigenze di completezza dell’offerta, di par condicio e quindi di sostanziale non integrabilità della stessa posteriormente alla sua proposizione, ed i secondi orientati alla prevalenza del principio del favor partecipationis, onde “ampliare” il confronto concorrenziale.
Sul punto, rivestono particolare interesse le pronunce rese in merito a fattispecie di carenze ed omissioni documentali dell’offerta prodotta in gara.
In tal senso, appaiono perfettamente esemplificative due recenti pronunce della V sezione del Consiglio di Stato.
La prima, n. 5931 del 2 dicembre 2008, concerneva un caso in cui ben tre concorrenti alla procedura di gara avevano omesso la presentazione, nella propria offerta, di un “foglio” contenente un prezzo unitario; ciò che, ad avviso del Giudice di prime cure, avrebbe dovuto comportare l’esclusione dalla gara delle tre Imprese, con spettanza alla ricorrente della commessa in gara.
In accoglimento dell’appello proposto dall’Amministrazione, Palazzo Spada afferma che l’omissione sia da ritenersi mero errore materiale, e che il prezzo mancante fosse derivabile aliunde (vale a dire, dall’importo totale offerto in gara, sottratta la somma degli altri prezzi unitari); in ultima analisi, ne deriva “la conclusione dell’incongruità, alla luce del principio del favor partecipationis e dei canoni ermeneutica civilistici in sede di decifrazione della volontà dei contraenti, della sanzione dell’esclusione rispetto ad una mera irregolarità formale non influente sui termini sostanziali e sulla completezza effettiva dell’offerta”.
Di segno decisamente differente è la seconda decisione sottoposta, n. 6501 del 22 dicembre 2008, resa – si richiama – nuovamente dalla V Sezione.
Nel caso qui affrontato, un’Impresa concorrente ad una gara d’appalto aveva depositato in gara un certificato ISO 9001 scaduto, pur essendo in possesso del medesimo certificato valido alla data della presentazione dell’offerta, per mero errore materiale di preparazione dell’offerta.
Il Consiglio di Stato, nel caso, ha ritenuto ininfluente sia “il fatto che il requisito fosse concretamente posseduto dall’Impresa sin dalla data di presentazione della domanda di partecipazione alla gara”, sia che “la produzione del vecchio certificato fosse dovuta ad un errore materiale”, e ciò perché “nelle procedure di appalti pubblici non può ammettersi la sostituzione di un documento scaduto con un altro in corso di validità, perché ciò determinerebbe non già una mera regolarizzazione, ma una integrazione documentale, con alterazione della par condicio fra i concorrenti”.
Deve peraltro richiamarsi che, nei due casi affrontati, le conclusioni cui sono pervenuti i Giudici d’appello sono espressamente affermate come conformi alle previsioni dei rispettivi capitolati e lex specialis di gara; documentazione, quest’ultima, non a caso richiamata nella parte motiva di entrambe le decisioni, a rafforzarne le rispettive conclusioni: ciò, a riprova dei principi (oltremodo consolidati in giurisprudenza) di primazia e tassatività delle previsioni contenute nella lex specialis di ogni procedura, con particolare riferimento alle clausole a pena d’esclusione ivi contenute.

Se la Commissione specifica i criteri dopo l’apertura delle buste, la gara a rifatta. Consiglio di Stato, V, n. 6320, del 18.12.08

F.B.
Il Consiglio di Stato rimarca il principio, oltremodo pacifico, per cui la Commissione di gara può specificare i criteri o introdurre elementi di specificazione ed integrazione circa essi, solo prima dell’apertura delle buste: solo in tal modo sono rispettati i principi di segretezza, par condicio, buon andamento, e trasparenza, in quanto la previa (ancorché solo astratta) conoscenza delle offerte è idonea, potenzialmente, a snaturare la gara, e prestarsi a favoritismi.
La questione della precisazione dei criteri, che in via generale implica anche la possibilità stessa per la Commissione di provvedere a tale attività (la giurisprudenza comunitaria, infatti, l’aveva messa in discussione individuando il bando quale unica sede idonea), appare, comunque, oggi risolta dal nuovo Codice dei contratti.
Quest’ultimo stabilisce, all’art. 83, che “il bando prevede, ove necessario, i subcriteri e i subpesi o i sub punteggi… La commissione giudicatrice, prima dell'apertura delle buste contenenti le offerte, fissa in via generale i criteri motivazionali cui si atterrà per attribuire a ciascun criterio e subcriterio di valutazione il punteggio tra il minimo e il massimo prestabiliti dal bando”.
In buona sostanza, la fissazione dei criteri di valutazione spetta a bando, mentre alla Commissione residua solo di stabilire i criteri motivazionali.
Pur sempre, però, prima dell’apertura delle buste. Possibilmente, però, in ossequio ai principi che anche il Consiglio di Stato richiama, prima della apertura dei plichi (e non solo prima dell’apertura delle offerte tecniche), in quanto già la conoscenza dei soggetti concorrenti potrebbe, sempre in astratto, condurre a effetti discorsivi.