Bonifica dei siti inquinati: l’obbligo di bonifica di un’area contaminata può essere imposto anche al proprietario incolpevole (TAR Lazio – Roma, Sez. I – sentenza n. 2263, 14 marzo 2011)

F.O.

La sentenza in commento si segnala per la sua portata innovativa rispetto ai precedenti giurisprudenziali formatisi in punto di individuazione del soggetto tenuto all’attuazione della messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati. Come è noto, in forza del principio di matrice comunitaria “chi inquina paga”, recepito nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 152/2006, la giurisprudenza amministrativa aveva assestato il proprio orientamento nel senso di ritenere obbligato alle operazioni di bonifica solo il soggetto responsabile dell’inquinamento, rimanendone esonerato il proprietario incolpevole (TAR Toscana, Sez. II, n. 1524, 19 maggio 2010; TAR Piemonte, Sez. I, n. 1575, 24 novembre 2010; Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3885, 16 giugno 2009).
Il TAR Lazio, attraverso una interpretazione organica del Titolo IV del D.lgs. n. 152/2006, ha, però, ribaltato l’orientamento appena citato, riconoscendo la legittimità del provvedimento “con il quale il Ministero dell’ambiente ha imposto alla società proprietaria di un’area inquinata, ancorchè non colpevole dell’inquinamento, “l’attivazione di specifiche caratterizzazioni e misure di messa in sicurezza di emergenza nelle aree inquinate”.
Secondo il TAR Lazio, infatti, il proprietario non è del tutto estraneo alle vicende successive all’accertamento della contaminazione, in quanto: “- in primo luogo, il proprietario è tenuto ad attuare le misure di prevenzione di cui all’art. 242 (art. 245); - in secondo luogo, il proprietario, ancorchè non responsabile, può sempre attivare volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale (art. 245); - infine, il proprietario è il soggetto sul quale l’ordinamento, in ultima istanza, fa gravare – in mancanza di individuazione del responsabile o in caso di sua infruttuosa escussione – le conseguenze dell’inquinamento e dei successivi interventi (art. 253)”……..”In altre parole, se il proprietario è in definitiva il soggetto al quale, pur senza sua responsabilità, vengono poste a carico le obbligazioni risarcitorie conseguenti all’inquinamento (e ciò proprio e solo perché proprietario), ben può lo stesso proprietario essere reso destinatario di un obbligo di attuare i necessari interventi, salva successiva rivalsa nei confronti del responsabile, che l’amministrazione ha l’obbligo di individuare”.
Il Collegio, pertanto, attraverso un ragionamento a ritroso, che ribalta le tappe procedimentali cui l’Amministrazione sarebbe tenuta secondo la disciplina del Titolo IV del D.Lgs. n. 152/2006, prende le mosse dall’onere reale che incombe sull’area contaminata e che impone al proprietario di rimborsare all’Amministrazione i costi della bonifica d’ufficio, per arrivare a sostenere che proprio tale onere giustificherebbe l’ordine di bonifica in capo allo proprietario incolpevole, purchè l’organo procedente non abbia individuato l’effettivo responsabile dell’inquinamento.
La decisione, seppure ampiamente motivata, non pare coerente con la disciplina normativa, andando a pregiudicare in modo eccessivo gli interessi del proprietario, a vantaggio esclusivo della Pubblica Amministrazione.
La possibilità per l’Amministrazione di imporre la bonifica dell’area al proprietario appare, innanzitutto, in contrasto con la facoltà, ricnosciuta allo stesso, di intervenire direttamente e spontaneamente.
D’altra parte, però, è vero che, ai sensi dell’art. 253 del D.lgs. n. 152/2006 il proprietario rimane comunque responsabile per il rimborso delle spese sostenute dall’Amministrazione per la bonifica dell’area, ma è altrettanto vero che la norma prevede un limite a tale rimborso, residuando la possibilità che parte di tali costi rimangano in capo all’Amministrazione.
Stabilisce, infatti, il comma 4 che: “In ogni caso, il proprietario non responsabile dell’inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l’osservanza delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati dall’autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi”.
Non tutti i costi, quindi, sono ripetibili, ma solo quelli nei limiti del valore di mercato del sito a seguito degli interventi. Non è escluso, quindi, che parte dei costi rimangano in capo all’Amministrazione, quindi alla collettività.
Tale essendo la previsione legislativa appare evidente che, imporre al proprietario di provvedere alla bonifica, salvo il suo diritto di rivalersi sul responsabile dell’inquinamento, non fa che spostare in capo al proprietario stesso l’onere di sopportare gli ulteriori costi eccedenti il valore di mercato del sito e che graverebbero, in ultima ipotesi, in capo all’Amministrazione.
In conclusione, pertanto, nonostante il condivisibile tentativo del TAR Lazio di alleggerire l’intervento (soprattutto economico) delle Amministrazioni, in un ambito in cui molto spesso i responsabili sono difficilmente individuabili, così ricadendo le conseguenze delle loro illecite attività sull’intera collettività, tale obiettivo non può all’opposto pregiudicare eccessivamente ed ingiustamente il proprietario incolpevole che, pur essendo riconosciuto esente da responsabilità, nella sostanza sarebbe costretto a subire in modo pieno la “sanzione” applicabile all’effettivo responsabile.

I presupposti per l’emanazione dell’ordinanza contingibile ed urgente in materia di abbandono di rifiuti ex art. 192 d.lgs. n. 152/2006

Ancora non uniforme l’orientamento della giurisprudenza sul punto

F.O.

Due recenti sentenze, la prima del Consiglio di Stato n. 3765, 12 giugno 2009, e la seconda del TAR Lombardia n. 4379, 16 luglio 2009, richiamano l’attenzione sul tema della ammissibilità di un’ordinanza contingibile e urgente in materia di abbandono di rifiuti ex art. 192 d.lgs. n. 152/2006 (T.U. Ambiente), giungendo però a conclusioni diverse. Come è noto la giurisprudenza ha ormai acquisito che il potere extra ordinem riconosciuto in capo al Sindaco dall’art. 54 T.U. enti locali, ovvero il potere di adottare con atto motivato provvedimenti, anche contingibili ed urgenti, per prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, può essere legittimamente esercitato solo quando concorrano tre presupposti: “1) una situazione, eccezionale e non prevedibile, di grave pericolo che minaccia l’incolumità dei cittadini; 2) l’urgenza di provvedere; 3) la non fronteggiabilità della situazione con i normali rimedi apprestati dall’ordinamento” (TAR Piemonte, sez. II, 12.6.2009, n. 1680). Nell’ordinanza, pertanto, il Sindaco dovrà dare conto della sussistenza di tali presupposti, nonché dare ampia motivazione sull’impossibilità di poter far fronte alla attuale ed eccezionale situazione di pericolo con gli ordinari poteri ad esso attribuito o attraverso i normali strumenti apprestati dall’ordinamento (TAR Toscana, 18.6.2009, n. 1070).
Con riguardo poi alla materia di gestione dei rifiuti, l’art. 192 T.U. Ambiente al comma 3 prevede: “Fatta salva l’applicazione della sanzione di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”.

L’espresso riferimento all’ordinanza quale strumento attraverso il quale l’Amministrazione può imporre al responsabile del danno ambientale l’obbligo di rispristino dei luoghi ha posto in giurisprudenza dubbi sulla sua configurabilità quale ordinanza contingibile ed urgente. Dubbi che la sentenza del Consiglio di Stato in commento sembra aver definitivamente chiarito nel senso di escludere la possibilità del ricorso all’ordinanza contingibile e urgente in ipotesi di abbandono di rifiuti ex art. 192 cit..In particolare i Giudici di Palazzo Spada hanno affermato che il potere extra ordinem, ex art. 54 T.U. Enti Locali, “deve essere atipico e residuale e cioè esercitabile (sempre che ne ricorrano i presupposti dell’urgenza, della gravità e del pericolo, ecc.), quante volte non sia conferito dalla legge il potere di emanare atti tipici in presenza di presupposti indicati da specifiche normative di settore; viceversa, proprio l’art. 14, co. 3, cit. [d.lgs. n. 22/1997] configura una siffatta specifica normativa con la previsione d’un ordinario potere d’intervento attribuito all’autorità amministrativa.
In conclusione, l’art. 14 (ed oggi l’art. 192 d.lgs. n. 152 del 2006), prevede un’ordinanza di sgombero a carattere sanzionatorio tanto è vero che per la sua applicazione a carico dei soggetti obbligati in solido, prevede in capo agli stessi l’imputazione a titolo di dolo o colpa del comportamento tenuto in violazione dei divieti di legge”.
Secondo il Consiglio di Stato, quindi, sarebbe sempre escluso il ricorso all’ordinanza contingibile e urgente nell’ipotesi di abbandono di rifiuti, in quanto tale specifica ipotesi trova compiuta disciplina nell’art. 192 cit. attraverso la previsione di un ordinario potere di intervento dell’Amministrazione, esercitabile in presenza di specifici presupposti, consistenti nella violazione del divieto di abbandono e deposito incontrollati di rifiuti ovvero di immissione di rifiuti, ai sensi dei commi 1 e 2.

Dall’analisi esegetica delle disposizioni citate emergono chiaramente le ragioni di tale decisione. In particolare stante la fattispecie di illecito ambientale prevista dal comma 2 dell’art. 192 d.lgs. n. 152/2006, ovvero immissione di rifiuti, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee, non vi è chi non veda in tale ipotesi l’automatica configurabilità del pericolo grave ed imminente di inquinamento delle falde e delle sorgenti acquifere, tale per cui l’urgenza e la tempestività dell’intervento sono da considerarsi in re ipsa. Ebbene, configurata la fattispecie nei suddetti termini, il legislatore ha poi disciplinato compiutamente le modalità di intervento in via ordinaria dell’Amministrazione, contemperando da un lato il principio di matrice comunitaria “chi inquina paga”, dall’altro quello di fornire una risposta eventualmente anche immediata al rischio imminente di inquinamento. L’equilibrio tra le due esigenze è dato: da un lato dalla previsione dell’onere a carico dell’Amministrazione di individuare il responsabile dell’illecito nei soli confronti del quale si potrà emanare l’ordinanza di ripristino di cui al comma 3; dall’altro dalla previsione dell’esecuzione, direttamente da parte dell’Amministrazione, delle opere di ripristino in danno dei soggetti obbligati, se questi ultimi non vi abbiano provveduto (dovendosi annoverare in questa ipotesi anche il caso in cui non è stato possibile individuare tempestivamente il responsabile, o i soggetti coobligati, per far fronte alla situazione di urgenza).

Tanto più se, come ribadisce il Consiglio di Stato, si considera che “sia il d.p.r. n. 915 del 1982 sia il d.lgs. n. 22 del 1997, sia il d.lgs. n. 152 del 2006, hanno espressamente attribuito al sindaco la titolarità del potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti in materia di rifiuti, rispettivamente agli art. 12, 13 e 191. In questa disciplina, pertanto, si ritrovano gli elementi propri del potere di ordinanza ex art. 38, l. n. 142 del 1990 (oggi art. 54, t.u. enti locali), ossia il riferimento ad una situazione di necessità ed urgenza oltre all’impossibilità di provvedere in altro modo (cfr. Cons. St., sez. V, 25 agosto 2008, n. 4067; Cons. giust. amm., 2 marzo 2007, n. 97)”.

Una interpretazione della norma nel senso che si è appena prospettato appare la più coerente con il principio “chi inquina paga”, in quanto evita, in ipotesi di pericolo grave ed imminente per la salute ambientale, che l’Amministrazione possa eludere la normativa di settore facendo sistematico ricorso, come in effetti accade, allo strumento eccezionale dell’ordinanza contingibile ed urgente, senza procedere agli accertamenti necessari per individuare il responsabile dell’illecito.
In senso apparentemente contrario, però, si è pronunciato il TAR Lombardia, con l’altra sentenza in commento, nella quale, richiamati i presupposti per l’emanazione dell’ordinanza ex art. 54 T.U. Enti Locali, si afferma: “Di conseguenza sono consentiti tali provvedimenti anche quando un’apposita disciplina regola in via ordinaria determinate situazioni, laddove la necessità di provvedere risulti tanto urgente da non consentire il tempestivo utilizzo.
L’ordinanza può essere adottata anche a fronte di sole situazioni di pericolo, allo scopo di evitare la produzione di un danno per la salute pubblica, senza che si debba attendere che si sia verificato il danno medesimo”….. “Inoltre, il provvedimento contingibile ed urgente che impone interventi su un’area inquinata prescinde dalla responsabilità del proprietario nel cagionare l’inquinamento, a differenza di quanto previsto per i provvedimenti bonifica di cui al D.lgs. 152/2006, cha ha sostituito il D.lgs. 22/1997”.

La sentenza del TAR Lombardia parrebbe sovvertire completamente, fino ad eluderla, la disciplina prevista dall’art. 192 T.U. ambiente. I punti critici della decisione sono: 1) la possibilità per l’Amministrazione di emenare, previa sussistenza dei necessari presupposti, un’ordinanza contingibile ed urgente non solo quando il danno è già avvenuto, ma già prima quando vi è solo una situazione di pericolo; 2) svincolare l’ordinanza contingibile ed urgente dalla necessità di individuare l’effettivo responsabile del danno, facendo ricarede l’obbligo di ripristino sul proprietario in base al solo rapporto di disponibilità con l’area inquinata e a prescindere dalla sua responsabilità soggettiva. In merito al primo punto la criticità consiste, secondo chi scrive, nel fatto che si consentirebbe all’Amministrazione la possibilità di utilizzare uno strumento eccezionale ed extra ordinem anche in un momento anteriore alla effettività e imminenza del danno, ovvero alla situazione di pericolo, quindi in difetto del presupposto dell’urgenza. A ciò si aggiunga, poi, che l’art. 192 d.lgs. 152/2006 – come sopra esposto – già di per sé considera sia la situazione di pericolo (abbandono incontrollato di rifiuti), sia quella in cui il danno si è già realizzato (immissione di rifiuti nelle acque superficiali e sotterranee), predisponendo un intervento in via ordinaria; il T.U. Ambiente, cioè, disciplina una situazione che è già di pericolo grave e imminente, optando per un intervento ordinario dell’Amministrazione, senza dare possibilità di fare ricorso al potere extra ordinem ex art. 54 T.U. enti locali.

Difficilmente superabile, poi, appare la prenscindibilità dell’ordinanza dall’individuazione del responsabile del danno, alla luce dello stringente principio “chi inquina paga” e della disciplina attuativa ex art. 192 cit..
In realtà la sentenza in commento va “confinata” nei termini della questione sottesi al caso di specie esaminato, al quale non parrebbero potersi applicare i principi generali richiamati dai Giudici Lombardi nella prima parte della decisione. L’ordinanza contingibile ed urgente oggetto di impugnazione, infatti, era stata motivata dall’Amministrazione con riferimento all’art. 217 r.d. n. 1265/1934, nel quale si prevede che in caso di lavorazioni insalubri, se vi è pericolo o danno alla salute pubblica, il sindaco può prescrivere gli interventi atti a prevenirlo o impedirlo. Ebbene, il precedente art. 216 r.d. cit. prevede che chiunque intenda attivare un’attività con lavorazioni insalubri deve richiedere apposita autorizzazione al sindaco, in capo al quale, comunque, rimane ampio potere, anche successivamente all’autorizzazione, di intervenire per impedire le lavorazioni che possano in qualsiasi tempo recare danno alla salute pubblica. In questo contesto, pertanto, l’ordinanza contingibile ed urgente è legittima in quanto la fattispecie è profondamente diversa da quella contemplata dall’art. 192 T.U. ambiente. Questo per due ordini di motivi:
1) nel caso di lavorazioni insalubri l’amministrazione non ha necessità di individuare il responsabile del danno, essendovi a monte una precedente autorizzazione che individua nel beneficiario della stessa il responsabile delle attività autorizzate;
2) le ipotesi di inquinamento previste all’art. 217 r.d. n. 1265/1934 sono espressione di un’attività lecita e legittimata dall’autorizzazione, mentre quelle di cui all’art. 192 T.U. ambiente riguardano ipotesi di illecito per violazione del divieto di abbandono incontrollato di rifiuti o di immissione di rifiuti in acque superficiali e sotterranee, non autorizzate.
Il TAR Lombardia, pertanto, attraverso il richiamo a principi generali ha affrontato le problematiche relative all’ammissibilità di ordinanze contingibili ed urgenti in caso di ripristino di aree inquinate pronunciandosi in senso favorevole, salvo poi fare applicazione dei suddetti principi in un caso in cui le medesime problematiche, a rigore, non si presentavano, per i motivi sopra esposti. Per inciso, il richiamo operato dai Giudici Lombardi (e già prima dal Consiglio di Stato, sent. n. 6055/2008) al criterio della c.d. successione economica, introdotto dalla Corte di Giustizia CE con la sentenza C-280/2006, va rettamente inteso. Nell’occasione la Corte di Lussemburgo, chiamata a pronunciarsi su una questione di diritto della concorrenza, ha affermato che: “Occorre inoltre rilevare che, se nessun’altra possibilità di imposizione della sanzione ad un ente diverso da quello che ha commesso l’infrazione fosse prevista, alcune imprese potrebbero sfuggire alle sanzioni per il semplice fatto che la loro identità è stata modificata a seguito di ristrutturazioni, cessioni o altre modifiche di natura giuridica o organizzativa…
Di conseguenza, qualora un ente che ha commesso l’infrazione sia oggetto di una modifica di natura giuridica o organizzativa, tale modifica non ha necessariamente l’effetto di creare una nuova impresa esente dalla responsabilità per i comportamenti anticoncorrenziali del precedente ente se, sotto l’aspetto economico, vi è identità tra i due enti” (par. 41 e 42). Il criterio della successione economica parrebbe trovare applicazione in presenza di due condizioni: 1) tra l’ente che ha commesso l’infrazione e l’ente “successore” non vi è soluzione di continuità, in quanto il nuovo ente è solo il risultato della modifica dell’entità dell’ente predecessore attraverso modifiche di natura giuridica o organizzativa; 2) tra l’ente che ha commesso l’infrazione e l’ente “successore” deve persistere una identità sotto l’aspetto economico. Da questo punto di vista, sussistendo identità tra i due enti, l’applicazione del criterio in materia ambientale della successione economica non pare contrastare con il principio “chi inquina paga”, come tra l’altro conferma il Consiglio di Stato nella sentenza n. 6055/2008. Ma la Corte di Giustizia ha introdotto il criterio della successione economica per garantire l’effetto dissuasivo delle sanzioni previste in caso di violazione della concorrenza, colpendo ovviamente il centro economico che dalla violazione ha tratto vantaggi. Tant’è che, anche qualora l’ente che abbia commesso la violazione continui ad esistere giuridicamente, ma non eserciti più attività economica, secondo i Giudici di Lussemburgo da sanzionare è l’ente successore secondo il criterio, appunto, della successione economica (identità degli enti). Non si vuole in questa sede approfondire la complessa tematica relativa al criterio della successione economica, ma solo evidenziare le problematiche che si possono presentare nel caso di una sua estensione in altri ambiti, quale quello della responsabilità per illecito ambientale, in cui vigono principi di segno contrario.

Nel trarre le conclusioni alla luce delle considerazioni svolte, pertanto, si ritiene, seguendo le indicazioni del Consiglio di Stato nella sentenza in commento, di doversi escludere l’ammissibilità dell’ordinanza contingibile ed urgente ex art. 54 T.U. Enti Locali per fronteggiare gli eventi di cui all’art. 192 T.U. Ambiente, salvo constatare che il TAR Lombardia, seppur pronunciandosi su una fattispecie diversa, ha comunque avuto modo di esprimere sul punto una posizione chiaramente contraria.

Il proprietario dell’area non è passibile dell’obbligo a provvedere alla messa in sicurezza e all'eventuale bonifica del sito inquinato (chi inquina paga)

G.A.

In ossequio al principio comunitario “chi inquina paga”, solo l’autore dell’inquinamento, e non già il mero proprietario dell’area inquinata, è destinatario dell’obbligo di messa in sicurezza e bonifica.
Il TAR Toscana, con sentenza della III Sez. del 17.3.2009, n. 665/2009, conferma la piena validità del principio di cui all’art. 17, comma 2 del D.Lgs. n. 227/1997, anche nella vigenza del Codice dell’ambiente.
L’art. 17 cit. impone l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento solamente a carico di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa. Ne consegue che l'amministrazione non può imporre ai privati che non hanno alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengono individuati solo in quanto proprietari del bene, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento. L'enunciato è conforme al principio a cui si ispira la legislazione comunitaria "chi inquina paga" (art. 174, ex art. 130/R, Trattato CE) che impone a chi fa correre un rischio di inquinamento o a chi provoca un inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.
Tale impostazione viene confermata e specificata dagli artt. 240 e ss. del D.Lgs. n. 152/2006, che impongono l'esecuzione di interventi di recupero ambientale, anche di natura emergenziale, al responsabile dell'inquinamento che può non coincidere con il proprietario ovvero con il gestore dell'area interessata.

È illegittimo il diniego di nulla-osta paesaggistico motivato mediante mero rinvio ai giudizi espressi dagli uffici interni

D.S.
In materia ambientale, e più esattamente in tema di nulla-osta paesaggistici, si segnale una recente sentenza del TAR Liguria (Sez. I, 22 dicembre 2008 n. 2187).
Con la pronuncia in commento, il giudice amministrativo ha primariamente affermato la illegittimità di un provvedimento di diniego di nulla-osta paesaggistico motivato mediante mero rinvio ai giudizi espressi da organi (privi di competenza) interni all’Ente preposto alla tutela del vincolo.
Ciò, perché il TAR ha rilevato che l’organo deputato ad esprimere la volontà dell’Ente può sì far proprio un giudizio di un ufficio interno, ma non può delegare in toto a questo le sue competenze.
In altri termini, l’organo competente all’interno dell’Ente può senza dubbio esprimere determinazioni fondate sugli elementi acquisiti dalla struttura burocratica interna, ma la decisione deve pur sempre essere il frutto di una autonoma potestas decidendi.
Il TAR, inoltre, si è soffermato sulla necessità che la motivazione del diniego si sostanzi in una valutazione  basata sulla realtà dei fatti e sulle ragioni ambientali ed estetiche che ostano al rilascio del provvedimento autorizzatorio. In applicazione del principio da ultimo richiamato, si è dunque sostenuta la illegittimità di provvedimento basato esclusivamente su una asserita generica compromissione degli equilibri ambientali della zona interessata dall’intervento per incongruenze fra tipologia e materiali scelti e contesto paesaggistico; un tale diniego – ha aggiunto il TAR - non spiega, infatti, alcunché sul futuro danno alle bellezze ambientali che ne deriverebbe ed è “un mero postulato apodittico”.