In tema di servizi pubblici locali la corte costituzionale fa pieno uso del diritto comunitario e lima ulteriormente le possibilità di affidamento diretto
/M.P.C.
Con recentissima sentenza (la n. 439 del 23 dicembre 2008) la Corte costituzionale interviene sul tema dell’affidamento dei servizi pubblici locali, finora molto controverso davanti ai giudici amministrativi ed alla Corte di giustizia.
La sentenza si segnala per due profili: a) la diretta applicazione del diritto comunitario anche in sede di giudizio di costituzionalità; b) l’ulteriore limitazione alle possibilità di affidamento diretto dei servizi pubblici locali a soggetto esterno all’amministrazione, anche nel caso di società di capitale interamente pubblico.
Il Governo aveva impugnato in via diretta una disposizione della legge provinciale di Bolzano n. 12/2007, per asserita violazione dei principi comunitari in tema di tutela della concorrenza, dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e della Costituzione, nelle parti in cui si impone anche alla Provincia autonoma di Bolzano il rispetto dei vincoli comunitari.
La disposizione contestata consentiva l’affidamento diretto di servizi pubblici locali a società a capitale interamente pubblico con condizioni solo quantitative e non qualitative; inoltre, con condizioni quantitative meno restrittive di quelle stabilite dalla normativa comunitaria, come interpretata dalla Corte di giustizia.
Il giudizio della Corte costituzionale è molto interessante, anzitutto, per l’espressa assunzione della disciplina e della giurisprudenza comunitaria quale parametro del proprio giudizio.
Atteso pacificamente – afferma la Corte – che la Provincia autonoma debba osservare i vincoli comunitari, occorre “muovere dalla ricognizione delle norme comunitarie nella specie rilevanti e dei principi affermati in materia dalla Corte di giustizia … che sono direttamente applicabili nell’ordinamento interno e che dunque assumono rilevanza agli effetti del giudizio di costituzionalità”.
La sentenza, dopo il richiamo alla normativa comunitaria ed alla vasta giurisprudenza della Corte di giustizia che ne ha trattato, conclude nel senso dell’incostituzionalità della norma provinciale sopra indicata per contrasto con il diritto comunitario applicabile, e quindi della Costituzione e dello Statuto speciale. Malgrado che nella sentenza non vi sia un’espressa ammissione che, in tal modo, si realizza compiutamente il modello di integrazione tra ordinamento nazionale ed ordinamento comunitario prefigurato dal primo comma dell’art. 117 Cost. (come modificato nel 2001, la conclusione è chiarissima in tal senso. Così, la Corte costituzionale compie un ulteriore passo comunitario, come da tempo auspicato e come lasciato presagire dalla precedente sentenza di inizio 2008 sul rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
Nel merito della causa, è interessante notare che la Corte costituzionale limita ulteriormente i margini di affidabilità diretta a terzi dei servizi pubblici locali, anche quando il soggetto sia apparentemente poco “terzo”, perché a capitale interamente pubblico. Per la Corte, a legittimare l’affidamento non sono sufficienti criteri quantitativi, per di più limitativi rispetto alle indicazioni comunitari, occorrendo anche aspetti di natura qualitativa (ad esempio relativi alla possibile propensione dell’impresa ad effettuare investimenti anche in altri mercati).
In tal modo, per l’avvenuta saldatura completa tra diritto comunitario e diritto nazionale, divengono davvero esigui i margini per il legittimo affidamento “in house” dei servizi pubblici locali.