Le modifiche societarie in corso di gara vanno comunicate alla stazione appaltante, che deve effettuare le verifiche di legge. Consiglio di Stato, V, n. 6046 del 5.12.08.

F.B.
Il mutamento di compagine sociale, le modifiche societarie, e similari, vanno sempre comunicate alla stazione appaltante, la quale, in conseguenza, deve effettuare le verifiche del caso. In mancanza, la gara è invalida.
L’importante indicazione proviene dal Consiglio di Stato, in fattispecie ove la concorrente aggiudicataria aveva subito una “trasformazione”, cui sarebbe dovuto seguire, secondo i princìpi, apposita comunicazione alla stazione appaltante, in uno a tutta la documentazione relativa, ivi comprese le dichiarazioni di moralità dei nuovi amministratori.
La decisione del Consiglio di Stato richiama innanzitutto l’art. 51 d.lgs. n. 163/06, per il quale “qualora i candidati o i concorrenti, singoli, associati o consorziati, cedano, affittino l'azienda o un ramo d'azienda, ovvero procedano alla trasformazione, fusione o scissione della società, il cessionario, l'affittuario, ovvero il soggetto risultante dall'avvenuta trasformazione, fusione o scissione, sono ammessi alla gara, all'aggiudicazione, alla stipulazione, previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale, sia di ordine speciale, nonché dei requisiti necessari …”.
Da ciò discende l’onere di informazione gravante sull’impresa, e quello, corrispondente, imposto all’ente.
Oltre che fare applicazione del principio in parola, tuttavia, la pronuncia si segnala per taluni spunti interessanti e originali.
In primo luogo, il Consiglio di Stato ritiene inidonea una mera comunicazione, tantopiù se trasmessa solo dalla mandante, anziché dalla mandataria interessata: la comunicazione deve provenire dall’Impresa oggetto della modifica societaria, e deve essere corredata da ogni documentazione del caso, ivi compresi, si ipotizza, gli atti civilistici connessi, le dichiarazioni di moralità dei nuovi amministratori, le visure camerali, etc.
In secondo luogo, quanto al momento rilevante, la comunicazione deve essere immediata: così, è risultato insufficiente dare seguito all’obbligo solo a seguito dell’aggiudicazione provvisoria, a fronte di modifiche intervenute in tempo antecedente. L’adempimento occorre sempre, per eventi verificatisi anche dopo l’aggiudicazione definitiva e prima della stipula del contratto, ma l’onere deve essere assolto quanto prima, senza attendere la conclusione delle varie subfasi.
In terzo luogo, quanto agli effetti, se è la Commissione che, a fronte di una comunicazione rituale, ha omesso le verifiche occorrenti, è pacifico che debba essere annullato solo il relativo segmento procedimentale. Se però è l’Impresa che ha omesso la comunicazione – pare doversi ritenere dalla lettura della decisione – la stessa va esclusa dalla procedura.
In quarto luogo, oltre alle fattispecie previste dalla legge, è plausibile che simile obbligo sussista anche al di là dei casi ivi considerati, compreso quello, più comune, e che subisce a identica ratio, dell’avvicendamento degli amministratori senza che si verifichino modifiche strutturali.

Se la lex specialis prevede, a pena di esclusione, che le ATI presentino un unico documento di offerta, la presentazione di documenti distinti è inammissibile.

F.B.
La decisione del Consiglio di Stato, V, n. 6203 del 15.12.08 stabilisce l’obbligo di escludere il costituendo RTI che, anziché presentare “una unica dichiarazione …(in caso di RTI, controfirmata dal rappresentante di ciascuna impresa”, presenti due dichiarazioni distinte.
Il Consiglio di Stato esclude trattarsi di un mero formalismo, riconnettendo la previsione a ragioni sostanziali: nel caso di appalti di servizi (cfr. art. 11 d.lgs. n. 157/95), infatti, per le ATI deve trattarsi di offerta congiunta, che specifichi le parti del servizio svolte da ognuna, con le ricadute del caso in punto di responsabilità solidale per l’intero servizio.
Il fatto che, anziché un’unica dichiarazione, ciascuna associata abbia presentato un proprio documento di offerta (ancorchè i due documenti siano identici nei contenuti), quindi, implica un vizio rilevante, e non la violazione di una regola solo formale.
La conseguenza, nel caso di specie, è risultata quella della obbligatoria applicazione della clausola, che comminava la sanzione dell’esclusione.
La decisione, tuttavia, si presta a scenari più diffusi, in quanto, una volta ricondotto l’obbligo di offerta congiunta a presupposti sostanziali, plausibilmente ne segue il principio per cui una offerta formulata tramite documenti distinti (ancorchè identici), è passibile di esclusione anche in mancanza di apposita clausola, tantopiù se si considera che, secondo giurisprudenza consolidata, l’art. 11 d.lgs. n. 157/95 costituisce norma di ordine pubblico, la cui violazione è senz’altro causa di esclusione anche se manca apposita previsione nel bando (in questo senso la giurisprudenza in fattispecie mancata specificazione delle parti del servizio, cfr. es. Consiglio Stato , sez. V, 28 settembre 2007, n. 5005, ed in particolare in caso di ATI verticale).   
Se mai, vi è da chiedersi se simili conclusioni valgano anche per il d.lgs. n. 163/06, il quale (art. 37) chiarisce la regola della responsabilità solidale in capo a ciascuna associata, ma non prevede, a stretto rigore, l’obbligo di offerta congiunta.

Divieto di commistione tra requisiti dell’offerta, e requisiti soggettivi di partecipazione: il divieto opera, ma cum grano salis. Consiglio di Stato, IV, n. 5808 del 27.11.08

F.B.
Palazzo Spada mette un punto fermo sul c.d. divieto di commistione tra criteri di valutazione dell’offerta e requisiti soggettivi di partecipazione.
Come noto, criteri come il fatturato pregresso, i servizi svolti, o il numero delle sedi (ovvero: criteri che non attengono all’offerta, ma all’Impresa e alle sue vicende storiche e organizzative), possono essere posti – pur sempre secondo criterio di ragionevolezza – quali requisiti di accesso alla procedura, ma non costituire metro di valutazione dell’offerta.
Simili previsioni, infatti, pongono a rischio la concorrenza, a privilegio delle sole Imprese maggiori e più risalenti, e non risultano pienamente conformi alle norme (cfr. es. art. 23 d.lgs. n. 157/1995, oggi art. 83 d.lgs. n. 163/2006).
Da cui, in linea generale, la conclusione nel senso che le condizioni soggettive dell’Impresa, del genere di quelle descritte, non possono costituire oggetto di valutazione dell’offerta e quindi criteri di assegnazione del punteggio di qualità. Come affermato sia dalla Corte di Giustizia (es. sentenza n. 19.6.03, Gat, e 20.9.88 Beentjes), nonché dall’Autorità di Vigilanza ll.pp., e dalla giurisprudenza (da ultimo, ad esempio, “costituisce erronea applicazione dell'articolo 83 del Codice degli appalti la commistione fra requisiti soggettivi di partecipazione ed elementi oggettivi di valutazione dell'offerta che si verifica quando elementi di valutazione specificati nel disciplinare riguardano caratteristiche organizzative e soggettive della concorrente, che afferiscono all'esperienza pregressa maturata dalla concorrente ed al suo livello dì capacità tecnica e specializzazione professionale” (T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 05 maggio 2008, n. 735).
La decisione qui commentata, in riforma della impugnata sentenza del TAR Lazio, fornisce una opportuna chiarificazione, valida, in particolare, per gli appalti di servizi: ferma la vigenza del divieto di commistione, per tali appalti, il principio subisce talune deroghe con speciale riferimento alle caratteristiche organizzative, in quanto l’organizzazione di impresa può costituire, secondo la discrezionalità rimessa alla stazione appaltante in punto di criteri di valutazione, elemento di sicuro rilievo ai fini del corretto svolgimento del servizio.
Simile interpretazione era già stata fatta propria con la decisione n. 2770/08, del 9.6.2008, ove il Consiglio di Stato aveva chiarito che “aspetti dell’attività dell’impresa possano illuminare la qualità dell’offerta”, con la conseguenza che “non deve enfatizzarsi il rischio di commistione tra profili soggettivi ed oggettivi. Tenerli distinti, cioè, non significa ignorare che, trattandosi di organizzazioni aziendali, determinate caratteristiche dell’impresa – tanto più quando specifiche rispetto all’oggetto dell’appalto – possano proiettarsi sulla consistenza dell’offerta”.
Con la decisione qui in esame si conferma la tesi.
Simili previsioni (fermo che a tali criteri non può essere attribuito un valore eccessivo) sono perciò legittime, in quanto “… senza voler contestare il noto orientamento giurisprudenziale di derivazione comunitaria secondo cui, essendo la procedura di gara tesa a selezionare la migliore offerta e non il miglior offerente, il bando di gara non può duplicare, nella previsione degli elementi dell’offerta oggetto di valutazione, la prescrizione dei requisiti di capacità tecnica ed economica già preliminarmente richiesti ai concorrenti ai fini dell’ammissione alla gara, non può però sottacersi che tale principio va applicato cum grano salis nelle procedure – come quella che occupa – relative ad appalti di servizi, in cui l’offerta tecnica non si sostanzia in un progetto o in un prodotto, ma nella descrizione di un facere che può essere valutata unicamente sulla base di criteri quali-quantitativi, fra i quali ben può rientrare la considerazione della pregressa esperienza dell’operatore, come anche della solidità ed estensione della sua organizzazione d’impresa”.

Sopralluogo obbligatorio e associazioni temporanee di imprese. Consiglio di Stato, V, n. 6057 del 9.12.08

F.B.
La decisione in commento afferma il principio per cui – in ragione del consolidato principio del favor partecipationis, e di quello per cui l’esclusione può discendere ove espressamente comminata, risultando allo scopo inidonee le clausole non univoche – ai fini del sopralluogo, in mancanza di diversa previsione della lex specialis, è sufficiente che provveda l’Impresa designata mandataria.
Nel caso di specie, si trattava di A.T.I. costituenda ove la presa visione della documentazione (ma lo stesso vale per il sopralluogo, che è la fattispecie più comune) era stato eseguito dalla sola mandataria.
La lex specialis stabiliva l’obbligo di sopralluogo e visione dei documenti, pena l’esclusione, a carico di “ciascuna impresa partecipante” , con conseguente problematica interpretativa per il caso di associazioni non ancora costituite.
La tematica è di generale interesse, in quanto, circa gli adempimenti di tal genere, la giurisprudenza ha fornito, nel tempo, soluzioni non univoche.
In mancanza di espressa previsione di legge, la disciplina specifica è rimessa al bando di gara. Spesso, quest’ultimo precisa le ritualità del sopralluogo nel caso di A.T.I. (soprattutto se non ancora costituite), con soluzioni diverse, che sostanzialmente si riconducono a tre tipologie: obbligo a carico della mandataria, oppure a carico di tutte le imprese, ovvero ancora a carico di una qualsiasi delle imprese, anche se mandante.
Le imprese, all’occorrenza, nei casi dubbi sono comunque solite inviare – se la lex specialis non lo vieta – un solo rappresentante per tutta l’ATI, ma munito di procura speciale.
La problematica si pone in casi, come quello che ha avuto ad oggetto la decisione in questione, ove, da una parte, il bando non specifica circa il soggetto tenuto, e, dall’altra, chi ha partecipato al sopralluogo non è munito di procura (oppure, come nel caso, è munito di procura che non contempla il sopralluogo).
Il Consiglio di Stato ha risolto la vicenda contenziosa sulla base del principio del favor partecipationis: allorchè il bando stabilisca che ciascuna impresa deve, a pena di esclusione,  provvedere al sopralluogo, senza ulteriori specificazioni per il caso di ATI, è sufficiente che vi provveda la mandataria (o comunque una delle associate). Pertanto, corrispondentemente, è sufficiente (sempre in mancanza di differente previsione) la produzione di una unica certificazione di avvenuto sopralluogo.

Il collegamento sostanziale fra Imprese partecipanti ad una gara d’appalto ne importa l’esclusione anche quando la responsabilità sia del consulente esterno

F.B.
Il Consiglio di Stato ribadisce il principio, già consolidato nella giurisprudenza, per cui, il collegamento sostanziale tra imprese, desumibile da dati molteplici, precisi e concordanti, che comprovano la provenienza delle offerte da un unico centro decisionale, comporta l’esclusione delle offerte: è questa l’indicazione proveniente dalla decisione della V Sez. del Consiglio di Stato, n. 4850 del 7 ottobre 2008.
Il divieto di partecipazione, spiega Palazzo Spada, è posto a tutela della par condicio dei concorrenti, oltre che della segretezza, della completezza, serietà, autenticità e compiutezza delle offerte; in ultima analisi, l’obiettivo finale è la scelta del miglior contraente, senza che i concorrenti possano conoscere le rispettive offerte prima dell’apertura in sede di gara.
In nome di tale esigenza, affermata anche a livello comunitario, il Consiglio di Stato rimarca che le fattispecie di esclusione per collegamento sostanziale non sono da intendersi tassativamente indicate dalla norma di riferimento, vale a dire l’art. 2359 c.c., bensì devono essere individuate di volta: viene pertanto definitivamente accantonato l’orientamento espresso dal TAR Lazio negli anni 2005-2006, che si fondava sul tenore letterale dell’art. 10-1bis l. 109/94, d’altronde superato dall’art. 34 del Codice dei Contratti.
Ormai pacifico, quindi, che il divieto sussiste anche in mancanza di una specifica clausola nella lex specialis, trattandosi di norma di ordine pubblico, si tratta di vedere quali siano i casi cui il divieto si applica, valutazione che ha dato luogo, anche in passato, a conclusioni, talvolta, eccessivamente rigorose.
Nel caso di specie, è stata ritenuta sussistente fattispecie di collegamento sostanziale in presenza di identiche polizze fideiussorie rilasciate dalla medesima compagnia e contrassegnate da numero ordinale progressivo; identiche erano altresì le dichiarazioni di conformità all’originale delle attestazioni SOA e del certificato ISO; nonché, altre identità formali dei documenti di gara. Tutti, in buona sostanza, elementi a carattere formale.
Da questo di vista punto la decisione in questione è di particolare interesse, in quanto afferma il principio per cui la circostanza che le Imprese si siano rivolte, per la preparazione della gara, al medesimo “Centro servizi”, non attenua, bensì se mai aggrava, il rischio di quel flusso informativo che implica l’inammissibilità delle offerte.
La decisione dà quindi luogo a un precedente significativo, e per nulla tranquillizzante per quelle Imprese che sono use a rivolgersi a Società di servizi per la predisposizione formale degli atti di partecipazione, anche quando la consulenza sia richiesta solo per preparare gli atti formali (soprattutto la busta amministrativa), esclusi, se del caso, offerta tecnica e offerta economica.
Se questo è il principio, sussiste in fin dei conti un onere, da parte della concorrente, di accertarsi che la Società di Servizi non curi per altri concorrenti la medesima gara, e per la Società di servizi, di avvisare le concorrenti di una simile evenienza.

Il c.d. danno esistenziale: eliminato o ridimensionato dalla Corte di Cassazione?

L.S.
Con le sentenze n. 26972 e n. 26973 dell’11 novembre 2008, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno voluto porre un freno alla “proliferazione delle liti bagatellari” e delle “più fantasiose ed a volte risibili” sentenze di merito (per lo più emesse dal giudice di pace) che danno asilo ad interessi “palesemente non meritevoli della tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale”.
La Suprema Corte ha infatti chiarito che in realtà il danno non patrimoniale è connotato da tipicità ed è pertanto risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato dalla lesione di specifici diritti inviolabili della persona.
In altri termini, attraverso la “tipizzazione” del danno esistenziale, la Corte non ha voluto eliminare tale fattispecie di danno dall’ordinamento giuridico, ma ne ha più semplicemente ridimensionato la portata applicativa, che risultava in precedenza “potenzialmente incontrollabile”. La Corte ha inoltre lasciato quanto mai aperta la determinazione di quali siano i casi in cui tale danno può essere invocato e riconosciuto, precisando che “Il catalogo dei casi in tal modo determinati non costituisce numero chiuso. La tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell‘apertura dell’art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana”.
In conclusione, il risarcimento del danno non patrimoniale non viene escluso a priori, ma deve fondarsi sulla previsione dell’art. 2059 cod. civ., che accorda tutela ai soli casi determinati dalla legge ed ai casi in cui venga leso un interesse di rango costituzionale inerente ad una posizione inviolabile della persona umana.

La prosecuzione del rapporto di appalto, nel caso di cessione di azienda, è tutt’altro che scontata

F.B.
È quanto sostiene la V sezione del Consiglio di Stato, con decisione n. 4865 del 7 ottobre 2008.
Nel caso di specie, una società originariamente affidataria del servizio di raccolta di rifiuti solidi urbani nel territorio di un Comune cedeva l’azienda ad altra Società, ai sensi dell’art. 2558 c.c.; la società subentrante, pertanto, proseguiva l’erogazione del predetto servizio, nonostante l’opposto intendimento del Comune appaltante, che concludeva per la risoluzione del contratto, e per il riappalto del servizio.
Il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sulla fattispecie, ribadisce la non automaticità del proseguimento del servizio da parte del soggetto subentrante: la decisione è di apprezzabile rilievo, in quanto, seppure nel caso la lex specialis escludeva espressamente tale esito, la pronuncia si spinge nel merito della questione di diritto sottoposta, con spunti di interesse.
Come noto, l’art. 35 l. 109/94 stabiliva, nel caso di cessione di azienda e atti assimilabili (fusione, trasferimento, etc.), la possibilità di subentro previa verifica dei requisiti, ed il corrispondente onere di comunicazione all’amministrazione, la quale aveva la possibilità di opporsi al subentro in presenza di specifiche fattispecie. Analogamente l’art. 116 d.lgs. n. 163/2006.
Il Consiglio di Stato afferma il valore essenziale di tale procedimentalizzazione, nel caso di specie non esperita: mancando quindi le prescritte comunicazioni e verifiche, discende la conseguenza dell’esecuzione sine titulo del di servizio, e la riconduzione della vicenda ad un caso di “cessione del contratto” inammissibile.
Di particolare interesse, in simile contesto, il rigetto della censura afferente la mancata partecipazione al procedimento della Società subentrante, sostanzialmente considerata priva di un qualsivoglia interesse apprezzabile nella procedura. Implicitamente, quindi, la vicenda viene ricondotta ad una ipotesi di decadenza di diritto, con effetti immediati, dal rapporto, con conseguente in configurabilità di possibili sanatorie postume, anche nel caso di sussistenza dei requisiti sostanziali per il subentro.

L’errore “normativo” dovuto all’errato coordinamento fra disciplina precedente e successiva al Codice dei Contratti comporta l’illegittimità della lex specialis

F.B.
Le stazioni appaltanti poco aggiornate sulla nuova normativa in materia di appalti – fattispecie che di tanto in tanto si verifica – rischiano di vedersi pronunciata l’illegittimità della lex specialis, quando il divario è sostanziale.
È questo l’oggetto della controversia venuta all’attenzione della V Sezione del Consiglio di Stato, con decisione n. 5384 del 28 ottobre 2008.
Una stazione appaltante aveva indetto un appalto di servizi, redigendo la lex specialis di gara in base alla vecchia disciplina ex art. 157/95, nonostante la già avvenuta entrata in vigore del nuovo Codice degli Appalti; un’impresa aspirante concorrente impugna immediatamente il bando chiedendone l’annullamento.
L’amministrazione ha eccepito trattarsi di un mero lapsus calami, di rilievo quindi esclusivamente formale ai fini del corretto svolgimento della gara, trattandosi di normative sostanzialmente sovrapponibili. Il Consiglio di Stato respinge tale ricostruzione del rapporto fra le due normative (d.lgs. 157/95 e d.lgs. 163/06), prendendo atto che il Codice degli appalti non ha soltanto recepito passivamente le “vecchie” articolazioni del procedimento ad evidenza pubblica, bensì ha potenziato ed esteso alcuni istituti in nome dei principi di diretta derivazione comunitaria non ancora pienamente espressi in precedenza nell’ordinamento nazionale (ciò che comporta per le “nuove” procedure di gara una maggiore competitività, una più estesa concorrenza etc.).
L’errore sopra evidenziato si pone pertanto, di per sé solo, come ostacolo al corretto svolgimento della procedura.
L’interesse della decisione, i cui principi hanno portata generale e quindi valgono in presenza di una qualsivoglia modifica di legge, è apprezzabile sotto il profilo seguente.
Il Consiglio di Stato, infatti, esclude che occorra una qualsivoglia prova di resistenza per sostenere l’interesse al ricorso: ed in effetti, appurato che le modifiche apportate dal Nuovo Codice sono tutt’altro che di dettaglio, tale interesse va ravvisato a prescindere dal fatto che le vecchie regole erroneamente richiamate impediscano in via immediata la partecipazione. Tale interesse sussiste, quindi, per il solo fatto della difformità del bando rispetto alla legge sopravvenuta rispetto alla normativa della quale esso fa applicazione.
La decisione non scioglie invece il nodo se simili censure debbano fare oggetto di immediata impugnativa, ovvero possano essere sottoposte in uno all’atto finale, ma, salvo forse il caso che la norma abrogata richiamata a sproposito sia da subito impeditiva della partecipazione, non si ravvisano impedimenti in questo senso.

DURC: la regolarità contributiva, in presenza di apposita clausola della lex specialis

Deve sussistere a far data dalla pubblicazione del bando, senza possibilità di sanatoria neppure all’epoca della presentazione delle offerte

F.B.
È questo il principio ricavabile dalla pronuncia della V sezione del Consiglio di Stato, n. 4871 del 7 ottobre 2008.
Nel caso di specie, la lex specialis stabiliva che i requisiti, compresa la regolarità nei confronti delle previdenze, dovessero essere conseguiti al momento della pubblicazione del bando. L’appellante aveva dichiarato il possesso dei requisiti già a tale epoca, e, tuttavia, la regolarità contributiva era stata conseguita postuma.
La tesi dell’appellante era che la regolarizzazione successiva al bando, ma antecedente la presentazione delle offerte, avrebbe reso possibile la partecipazione. Di contrario avviso il Consiglio di Stato, il quale ha affermato i princìpi per cui:
a)      la clausola della lex specialis che stabiliva il possesso dei requisiti già all’epoca del bando è legittima;
b)      a fronte della violazione di tale clausola, discende la conseguenza dell’esclusione.
Circa il primo profilo (a)), afferma il Consiglio di Stato, la clausola rientra tra quelle immediatamente impeditive la partecipazione, da cui la tardività della censura mossa dall’Impresa non in possesso dei requisiti solo in uno all’impugnazione dell’esclusione.
Tuttavia, la decisione si spinge comunque nel merito, evidenziando che, seppure il principio generale è quello per cui i requisiti devono sussistere all’epoca della presentazione delle offerte, una anticipazione di tale momento alla pubblicazione del bando è lecita, in quanto proporzionata e ragionevole, stante l’esigenza di garantire che la S.A. abbia a interloquire con soggetti di comprovata affidabilità.
Ne è seguita (b)) la declaratoria di esclusione, questa volta in ossequio a regole consolidate, quale quella del divieto di sanatoria postuma in materia di requisiti, e di esclusione delle imprese che abbiano reso dichiarazioni mendaci.
Il principio, reso con riferimento alla previgente normativa, trova applicazione anche per la disciplina attualmente vigente, recata dal d.lgs. n. 163/2006.

L'autorità di vigilanza non pone particolari paletti all'utilizzo delle offerte economicamente più vantaggiose negli appalti di lavori pubblici

M.P.C.
L’Autorità di vigilanza, con la determinazione 8 ottobre 2008, n. 5, è tornata a considerare le forme di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa negli appalti dei lavori pubblici.
Come è noto, il Codice dei contratti pubblici ha introdotto a tale proposito una significativa innovazione rispetto alla legge Merloni, prevedendo che l’aggiudicazione tramite l’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente diviene il criterio ordinario, rispetto a quello del prezzo più basso. L’innovazione non è stato il frutto di una scelta “autoctona”, ma la conseguenza di una sentenza della Corte di giustizia (7 ottobre 2004, C-247/02) che aveva concluso per il contrasto con il diritto comunitario di una normativa (come appunto quella italiana) che imponga come criterio unico o prevalente quello del prezzo più basso.
Le pubbliche amministrazioni godono così di un ampio potere discrezionale; ma, poste dinanzi alla necessità di dover motivatamente scegliere quale criterio adottare, “in relazione alle caratteristiche dell’oggetto del contratto” (art. 81, c.2, del Codice), hanno manifestato una sorta di agorafobia e chiesto indicazioni operative all’Autorità.
La determinazione in esame, correttamente, rileva i vincoli comunitari che presiedono alla richiamata disposizione; nonché l’impossibilità di dare indicazioni preventive ed astratte. Pertanto, dopo un’utile ricapitolazione di tutti i dati rilevanti, l’Autorità si limita a ribadire taluni criteri generali già noti. Ovvero che il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa può essere adottato quando le caratteristiche oggettive dell’appalto inducano a ritenere rilevanti, ai fini dell’aggiudicazione, uno o più aspetti qualitativi, quali, ad esempio, l’organizzazione del lavoro, le caratteristiche tecniche dei materiali, l’impatto ambientale, la metodologia utilizzata.
Per converso, il criterio del prezzo più basso è – per l’Autorità – preferibile quando l’oggetto del contratto ha basso valore tecnologico o si svolge con procedura largamente standardizzate.
Dopo queste opportune conferme dell’Autorità, è da sperare che finalmente le amministrazioni facciano il più ampio uso del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; stante che nella maggioranza dei casi l’aggiudicazione degli appalti di lavori richiede l’applicazione di elementi qualitativi e di criteri non automatici. Il tutto senza mettere a rischio, naturalmente, i principi di parità di trattamento, di trasparenza e di garanzia della concorrenza.