Risarcimento del danno da illegittima esclusione solo se l’amministrazione versa in condizione di colpa

F.B.
La Sesta sezione del Consiglio di Stato, con la decisione n. 1732 del 23 marzo 2009 si sofferma sul requisito dell’elemento soggettivo ai fini del risarcimento del danno da esclusione illegittima, già oggetto di precedenti pronunzie, ma qui trattato con ampia meditazione.
Nel caso sottoposto, un’Amministrazione aveva appellato la decisione di primo grado che l’aveva condannata al risarcimento per equivalente monetario in favore di un’Impresa che, anni addietro, era stata esclusa – illegittimamente, come appurato in altro giudizio – dalla procedura di gara.
La sentenza di primo grado aveva condannato l’appellante alla corresponsione del risarcimento del danno, da cui l’appello dell’Ente, teso a contestare i presupposti della decisione.
La Sesta Sezione premette anzitutto che costituisce onere del privato che domandi il risarcimento del danno, principalmente, la prova della illegittimità dell’esclusione dalla gara, nonché l’avvenuta partecipazione alla stessa. Più liberale, invece, l’apprezzamento della prova del quantum, in quanto, se le spese di partecipazione alla procedura devono, come ritenuto correntemente, essere specificamente dimostrate (e, da questo punto di vista, la dimostrazione è spesso diabolica), per il resto possono soccorrere criteri presuntivi.
E’ noto in particolare che, tradizionalmente, la perdita di chance è forfetariamente quantificata nella misura del 10% (es. Consiglio Stato, sez. V, n. 3806 del 30 luglio 2008), passibile peraltro di riduzione proporzionale a seconda del numero dei concorrenti, della graduatoria, e financo del contenuto dell’offerta (Consiglio Stato, sez. V, n. 491 del 28 gennaio 2009). La giurisprudenza, ancorchè tutt’altro che univoca sul punto, ha in proposito stabilito taluni criteri allo scopo.
Deve solo aggiungersi, se mai, che recente giurisprudenza (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, n. 2751 del 9 giugno 2008) ha, anche, riconosciuto il danno ulteriore connesso alla perdita di immagine e all’impossibilità di partecipare ad altre gare (impossibilità di spendere i requisiti che si sarebbero maturati con l’aggiudicazione in quella procedura), denominato “danno curriculare”.
Ciò ancorchè altra giurisprudenza (T.A.R.  Friuli Venezia Giulia, I, n. 639 del 17 novembre 2008) sia pervenuta a soluzione alternativa originale, per la quale da una parte non spetta il risarcimento del danno al curriculum, ma dall’altra l’Impresa illegittimamente esclusa può spendere, quale requisito di partecipazione, il contratto cui (virtualmente) avrebbe avuto titolo qualora non fosse stata esclusa.
Più problematico, sin dalla nota sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 500 del 1999, il requisito della “colpa” in capo all’amministrazione.
Secondo l’interpretazione corrente, non si tratta, nel caso, di una responsabilità di tipo oggettivo, bensì, ai sensi dell’art. 2043, di responsabilità colpevole. Con l’esigenza di interpretare la misura dell’elemento soggettivo.
Da questo punto di vista, la giurisprudenza è univoca nel ritenere che l’illegittimità dell’esclusione costituisca indice presuntivo della colpa: si tratta, tuttavia, di presunzione semplice, dovendosi escludere la responsabilità dell’amministrazione quando l’errore sia incolpevole.
Si discute, tuttavia, sul soggetto titolare del relativo onere probatorio.
Secondo un primo orientamento, la prova dell’inescusabilità dell’errore grava su chi domanda il risarcimento (es., T.A.R. Puglia, Bari,  sez. I, n. 2249 del 29 settembre 2008: “l'accoglimento della domanda postula che … il ricorrente abbia dimostrato, … oltre addurre l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa, … che si sia trattato di errore inescusabile”).
Secondo altro orientamento, cui aderisce la sentenza qui in commento, al contrario, per il ricorrente è sufficiente la dimostrazione dell’illegittimità dell’esclusione, che fonda, presuntivamente, la responsabilità colpevole che è requisito per la condanna alla rifusione dei danni; mentre, l’Amministrazione può – ed è suo onere – dimostrare che si è trattato di errore incolpevole: “spetterà di contro all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali, … di formulazione incerta di una norma da poco entrata in vigore, di rilevante complessità del fatto …”.
Spetta all’Amministrazione, in buona sostanza, la prova dell’assenza di qualsivoglia profilo di (dolo o), e quindi l’onere di dimostrare l’assenza di quell’ elemento soggettivo rilevante ai fini della configurazione di una condotta colpevole.
Nel caso di specie, il Consiglio di Stato, giustappunto, ritiene insussistente l’elemento soggettivo, anche sotto il profilo della colpa, in quanto l’esclusione della Società appellata era conseguita, a suo tempo, in conseguenza dell’applicazione di un orientamento giurisprudenziale all’epoca consolidato, oggetto di un revirement solo successivo all’avvenuta esclusione.
Del resto, come fa conclusivamente notare la Sesta Sezione, qualora la stazione appaltante non avesse escluso l’Impresa appellata, e quindi non si fosse conformata all’orientamento giurisprudenziale all’epoca dominante, con ogni probabilità la mancata esclusione sarebbe stata ugualmente oggetto di impugnativa da parte delle Imprese controinteressate, con tutte le analoghe conseguenze che ne sarebbero seguite.
Tale lettura, fondata sul raffronto con la giurisprudenza prevalente, mette certamente a riparo le amministrazioni (cui spetta, sostanzialmente, l’onere di aggiornarsi con compiutezza rispetto allo stato della giurisprudenza). D’altro canto, se mai, così facendo si rischia di appiattire l’operato delle stazioni appaltanti in punto di interpretazione, poiché una lettura autonoma diversa da quella dei Giudici amministrativi (spesso in contrasto tra di loro), le espone a rischi risarcitori, con possibili risvolti anche contabili; ma d’altronde, non può negarsi che l’interpretazione della legge spetta, in primo luogo, alla magistratura.
Da ultimo, in argomento, si segnala come isolata, ma estremamente “rischiosa” per gli enti, la diversa tesi, per vero minoritaria, per cui in materia di interpretazione della normativa non è mai configurabile l’errore scusabile (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, n. 224 del 21 marzo 2007, per la quale “la limitazione di responsabilità al solo caso di dolo o colpa grave di cui all'art. 2236 c.c. … presuppone una prestazione che implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e non può riferirsi all'attività di mera interpretazione di norme giuridiche, quale è quella che può dare luogo all'erronea individuazione dell'aggiudicatario in una gara di appalto; infatti, l'Amministrazione interpreta a propria discrezione, ma per questo altresì a proprio rischio, le norme giuridiche via via introdotte nell'ordinamento (c.d. interpretazione amministrativa), …; cioè senza alcuna certezza dell'esattezza di tale propria esegesi, e … senza poter vantare alcuna speciale irresponsabilità per le conseguenze economicamente pregiudizievoli dell'esegesi eventualmente erronea della nuova norma (in altri termini, essa non può translare sui terzi il danno ingiusto cagionato da un proprio eventuale errore esegetico)”.