La crisi del debito sovrano e le sue influenze per la governance europea, i rapporti tra stati membri, le pubbliche amministrazioni
/Mario Pilade Chiti
Sommario: 1. La crisi e la rilevanza del diritto. – 2. I limiti del Trattato di Lisbona a fronte dei problemi posti dalla crisi. – 3. Le misure assunte dalle istituzioni dell’Unione, entro ed al di fuori del quadro giuridico dell’Unione. – 4. Il Meccanismo europeo di stabilità. – 5. Le contestazioni giudiziarie al Meccanismo europeo di stabilità. – 6. Segue: il giudizio della Corte di giustizia nel caso Pringle. – 7. Il quadro attuale delle riforme e la sua disomogeneità. – 8. L’evoluzione della governance dell’Unione. 9. Il ruolo delle pubbliche amministrazioni.
1. A distanza di più di quattro anni dall’inizio della grande crisi finanziaria ed economica, e senza che ancora se ne avverta la fine, si moltiplicano gli studi giuridici che analizzano le iniziative assunte per fronteggiarla ed i principali cambiamenti istituzionali che, a cagione di essa, si sono determinati negli ordinamenti nazionali e nella dimensione sovranazionale. Si è infatti ben presto avvertita la consapevolezza che la crisi, tanto profonda ed ampia, stava determinando innovazioni giuridiche di rilievo, nuovi assetti nella governance europea e nazionale, ed una serie di effetti sull’amministrazione pubblica, cui compete principalmente la realizzazione delle misure per rispondere alle sfide poste dalla crisi.
Nella prospettiva giuridica, rispetto alla precedente grande crisi economica del 1929, l’attuale è caratterizzata da tre principali novità: un rilevante ruolo del diritto; l’ordinamento sovranazionale europeo, con le sue istituzioni subito intervenute, prima con misure emergenziali, poi con una più compiuta strategia; la stretta interrelazione, senza precedenti, tra le decisioni degli Stati e delle organizzazioni sovranazionali ed internazionali, come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale1.
Le novità sono particolarmente rilevanti nell’ambito dell’Unione europea, in quanto per rispondere alle ineludibili questioni poste dalla crisi sono state assunte misure originali ed in parte anche oltre il sistema giuridico dell’Unione. Sono infatti apparse obsolete varie previsioni del Trattato di Lisbona, prima ancora che entrassero in vigore il 1° dicembre 2009. Si è così avuta un’accelerazione dell’integrazione sovranazionale sino ad allora impensabile, con caratteri originali che hanno determinato il definitivo superamento del tradizionale “metodo comunitario” di integrazione; aprendo scenari inediti, da chiarire e ricomporre nel prossimo futuro.
Questo saggio è incentrato sui profili europei, precisamente su quelli interni all’Unione europea – sia verticalmente per i rapporti Stati membri-Unione, che orizzontalmente per i rapporti tra Stati membri – e sulle conseguenze che la crisi sta producendo per l’amministrazione pubblica europea e per le amministrazioni pubbliche nazionali. L’obbiettivo è un bilancio giuridico dei molteplici eventi succedutisi dal 2008; pur nella consapevolezza che si tratta di una valutazione inevitabilmente provvisoria, considerato che ulteriori sviluppi sono in corso ed altri avverranno nel prossimo futuro; almeno sino a quando la crisi finalmente si attenuerà, per poi concludersi definitivamente.
2. Dalla dimensione bancaria-finanziaria, ovvero dal fallimento della Banca Lehman Brothers e della insolvenza di altre grandi banche, la crisi ha virato rapidamente verso l’economia generale ed ha indotto ad alzare il velo su questioni sistemiche che si erano occultate o non adeguatamente considerate. Con un ulteriore rapido passaggio, la crisi ha mostrato che il rischio non si limitava a particolari operatori finanziari o settori produttivi, ma coinvolgeva direttamente il debito sovrano di alcuni Stati membri, specialmente dell’Eurozona, con concreti pericoli di loro insolvenza.
A fronte di una situazione così drammatica, l’Unione europea ha scoperto di non essere attrezzata; neanche con alcune previsioni essenziali del proprio diritto primario. In effetti, la caratteristica dell’Unione è stata finora quella di una “Comunità di benefici”, assai diversa da una piena “Comunità dei benefici e dei rischi” in cui i soggetti partecipanti condividono non solo i benefici e le opportunità, ma anche i rischi connessi allo stare insieme nel medesimo sistema. Tanto meno esisteva, sino al Trattato di Lisbona, un principio di solidarietà verso gli Stati membri in situazioni di crisi; ora introdotto in modo timido e per particolari ipotesi, come quelle previste all’art. 122 TFUE di cui si dirà.
Il Trattato Comunità europea (TCE), inizialmente, e il Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE), oggi, hanno previsto vari principi sul vincolo di bilancio e sulla sana amministrazione; tanto importanti da essere considerati principi costitutivi, “inerenti” al sistema dell’Unione. Ma nei Trattati nulla vi era (e neanche vi è nel recente di Lisbona) per rispondere ai problemi posti dalla crisi del debito sovrano di vari Stati.
Il vincolo di bilancio è stato definito puntualmente nel Trattato di Maastricht del 1992 con limiti percentualmente stabiliti rispetto al PIL sia per il deficit che per il debito pubblico. Il vincolo è divenuto più stringente con il Patto di stabilità e crescita del 1997, prevedendosi ulteriori limiti per il deficit annuale e la regola che i bilanci annuali devono tendere al pareggio; tuttavia, senza prevedere le condizioni di buona gestione finanziaria ed i risultati da mantenere dopo l’ingresso nell’Euro. Considerato che tali regole erano state disattese da quasi tutti gli Stati membri, si preferì passare da un metodo rigido, ma scarsamente efficace, a metodi più flessibili ispirati al Metodo definito “aperto di coordinamento”2. Anche il nuovo Metodo non ha dato, però, i frutti sperati. E’ iniziata così la lenta e controversa marcia per il superamento dei disavanzi eccessivi e per il coordinamento delle politiche economiche con regole formalizzate nel vigente TFUE all’art. 126 (già art. 104 TCE), in combinato con l’apposito Protocollo allegato3. Per quanto si tratti di uno sviluppo di grande importanza, la sua incidenza era assai lontana dalle necessità poste dalla crisi apertasi nel 2008. Da qui l’ulteriore rafforzamento con il Trattato FiscalCompact, più avanti analizzato.
L’altro elemento caratterizzante il sistema pre-crisi è stata la moneta unica, con le sue istituzioni di riferimento, principalmente la Banca centrale europea. A differenza del tema dei vincoli di bilancio, l’Euro avrebbe potuto essere l’inizio di una fase decisamente nuova per l’Unione europea – o almeno quella parte di Stati membri che vi hanno voluto partecipare, la c.d. Eurozona – tale da assicurare uno scenario appropriato per rispondere alla crisi. Ma è noto che se la scelta di dotarsi della moneta unica è risultata innovativa rispetto al Mercato unico ed al Sistema monetario europeo, rimaneva depauperata di appropriata incisività per carenza di adeguate misure di sostegno. Principalmente per la mancanza di un vero sistema di governo centralizzato dell’economia e per la formale carenza nella BCE di prerogative capaci di assicurare la gestione della politica monetaria; un governo dell’economia separato dal governo della moneta unica. Come è stato rilevato4, “si è perseguita la creazione di una moneta unica senza preoccuparsi di dotarla delle necessarie strutture di sostegno. Il governo della moneta è rimasto separato da quello dell’economia”. Pur con questi limiti, già prima del 2008 l’Eurozona si è progressivamente qualificata come un’area giuridicamente ben distinta all’interno dell’Unione, incubatrice per le innovazioni poi resesi necessarie per reagire alla crisi.
Il Trattato di Lisbona, per quanto qua interessa, ha solo perfezionato alcuni principi ed istituti precedenti, come quello sulla sorveglianza multilaterale delle politiche economiche degli Stati membri (art. 121 TFUE5, già art. 99 TCE); ma si è confermato non attrezzato all’irrompere della crisi.
L’articolo 125 TFUE6 (già art. 103 TCE) cui si era inizialmente pensato per trarne qualche opportunità si è anzi dimostrato un ostacolo alla “transfer Union”, ovvero alle esigenze di sostegno degli Stati in difficoltà, in quanto espressamente indirizzato ad escludere che per i debiti di uno Stato membro siano chiamati a rispondere l’Unione o altri Stati membri (“no Bail Out Clause”)7. Purtuttavia, come indicato dalla Corte di giustizia nella sentenza Pringle del 20128, tale disposizione ha qualche utilità, in quanto non vieta all’Unione e agli Stati membri la concessione di qualsiasi forma di assistenza finanziaria ad un altro Stato membro.
Anche l’art. 122 TFUE9 non si è dimostrato appropriato, malgrado l’esplicito riferimento – per la prima volta nel Trattato – allo “spirito di solidarietà tra Stati membri”. Il primo comma prevede possibili interventi speciali, decisi dal Consiglio, qualora in uno Stato membro sorgano gravi difficoltà nell’approvvigionamento di determinati prodotti; in particolare nel settore dell’energia. Si tratta dunque di un’ipotesi ben definita, che riguarda la temporanea carenza di taluni approvvigionamenti. Il secondo comma prevede misure più ampie, di assistenza finanziaria dell’Unione a Stati membri che si trovino in difficoltà o siano seriamente minacciati da gravi difficoltà causate da fattori esterni (calamità naturali e circostanze eccezionali che sfuggono al controllo dello Stato interessato). In tali casi il Consiglio, su proposta della Commissione, può concedere misure finanziarie di sostegno, secondo un principio di solidarietà condizionato all’ottemperanza dello Stato membro alle prescrizioni impartite. Laddove la crisi faceva emergere – prima per Grecia e Irlanda, poi per Portogallo e Spagna; poi ancora per l’Italia – situazioni né eccezionali, né causate da fattori esterni; bensì prevedibili ed in larga misura dovute a politiche nazionali dello Stato interessato.
La terza disposizione del TFUE (art, 143, c. 2; già art. 119 TCE) invocata quale possibile base legale per interventi finanziari di sostegno è estranea al problema della crisi del debito sovrano degli Stati membri dell’Eurozona, perché – come confermato dalla Corte di giustizia nella citata sentenza Pringle del 2012 – riguarda solo gli Stati membri la cui moneta non è l’euro.
3. Non appena la crisi ha investito il debito sovrano di alcuni Stati membri, le istituzioni dell’Unione, specialmente il Consiglio europeo, hanno iniziato a definire una serie di interventi dentro ed al di fuori della cornice istituzionale dell’Unione e della stessa Eurozona; dapprima con decisioni alquanto estemporanee e poco incisive, poi con misure sistemiche10. Se è vero che la crisi è risultata più grave e duratura del previsto, spiazzando di volta in volta con i suoi sviluppi i tentativi di risposta dell’Unione, non si può certo dire che le istituzioni europee non abbiano preso sul serio la questione.
Le prime misure hanno riguardato la Grecia, che già nel 2009 è risultata lo Stato in maggiore difficoltà. Gli interventi sono stati inizialmente di tipo bilaterale, con particolari prestiti bancari da parte di Stati membri dell’Eurozona, con il supporto del Fondo monetario internazionale, senza attentare al principio di “divieto di salvataggio” (no Bail Out) posto dal citato art. 125 TFUE.
La palese insufficienza di queste misure rispetto alla gravità della crisi, ha indotto a creare nuovi strumenti multilaterali (noti come Facilities), che sono stati basati giuridicamente sull’art. 122, c. 2, TFUE; dunque, con tutti i limiti propri di questa disposizione palesemente estranea a situazioni di strutturale crisi del debito sovrano di Stati membri. Gli interventi sono consistiti nella costituzione nel 2010 dell’European Financial Stability Facility e, poi, dell’European Financial Stability Mechanism (EFSM)11. Lo stato di emergenza in quell’anno ha fatto inizialmente accantonare i problemi connessi alla base giuridica degli interventi; tuttavia, occorre riconoscere l’inconsistenza della tesi dell’art. 122 TFUE quale legittima base giuridica di siffatti interventi equale norma di deroga all’art. 125 TFUE; stante la stessa ratio delle due disposizioni ben colta nella sentenza del Bundesverfassungsgericht del 7 settembre 2011 sugli aiuti alla Grecia.
I due strumenti non hanno precisi precedenti nel diritto della Comunità europea e dell’Unione. L’EFSF è una società di diritto comune lussemburghese, a carattere temporaneo per tre anni, i cui soci sono gli Stati dell’Eurozona. Suo compito è assicurare prestiti agli Stati della medesima Eurozona a rischio insolvenza, con forti condizioni. La Società è finanziata dagli Stati aderenti ed ha la possibilità di emettere obbligazioni garantite dagli Stati soci. L’EFSF ha potuto operare immediatamente, grazie alla sua configurazione come società di diritto comune lussemburghese; ma palesemente il suo ruolo è stato temporaneo, nelle more di più organici interventi (come il successivo Meccanismo europeo di stabilità). Anche l’EFSM è un organismo emergenziale, ma costituisce un Fondo dell’Unione che attinge risorse nel suo bilancio e ha rappresentato l’avvio di una configurazione giuridica più stabile di intervento straordinario, con la rimarchevole particolarità – considerando le misure successive – di rimanere ancora all’interno dell’Unione, attuando le indicazioni del Consiglio europeo.
Al di là della limitata incidenza finanziaria di questi interventi, le prime iniziative hanno confermato la carenza nei Trattati di previsioni appropriate per un’efficace politica di interventi dell’Unione in sostegno a Stati membri in difficoltà. In particolare, si è mostrata inconsistente la base giuridica delle misure per costituire le Facilities, atteso che l’art. 122 TFUE consente – come già accennato – di accordare sostegno a Stati membri in condizioni speciali per circostanze eccezionali che sfuggono al loro controllo; condizione che certo non poteva configurarsi per gli Stati interessati (al tempo, Grecia, Portogallo, Irlanda).
Alle iniziative del Consiglio europeo e della Commissione si sono affiancate altre – del tutto originali – della Banca centrale europea. Basti per ora richiamare il c.d. Securities Market Programme; insieme di misure per tenere sotto controllo il debito sovrano di alcuni Stati tramite acquisti di loro titoli di debito pubblico anche sui mercati secondari ed il finanziamento di alcune banche “strategiche” ai fini della stabilità dei mercati.
Parallelamente a queste iniziative emergenziali per contenere il dilagare della crisi, efficacemente definite nel gergo comunitario come “Firewalls”, si è acquisita la consapevolezza che solo un intervento organico dell’Unione avrebbe potuto efficacemente contrastare la situazione. A tal fine, l’iniziativa è stata assunta dal Consiglio europeo che ha dato all’Unione “gli impulsi necessari al suo sviluppo”, definendone “le priorità politiche generali” (così suona l’art. 15 TUE), ed ha assunto direttamente decisioni e misure operative, poi sviluppate dalla Commissione. Così, il Consiglio europeo ha avviato nel marzo 2010 un progetto di iniziative strategiche, creando una Task Force di carattere intergovernativo, coordinata dallo stesso Presidente Van Rompuy, incaricata di individuare un pacchetto organico di misure ed una riforma generale della governance economica europea.
Merita notare per questa fase un avvio parallelo di progetti da parte del Consiglio e della Commissione, che poi si incontrano sinergicamente nel c.d. Six Pack; un pacchetto di sei atti normativi, cinque regolamenti ed una direttiva, finalizzato al rafforzamento della vigilanza preventiva sulle politiche economiche nazionali ed a sanzionare eventuali squilibri eccessivi di carattere macroeconomico.
Per quanto anomala sia risultata l’iniziativa delle proposte per il ruolo determinante del Consiglio europeo, gli atti normativi utilizzati a tal fine sono stati quelli tipizzati nel TFUE (regolamenti e direttive), come pure tipizzati sono stati i procedimenti legislativi seguiti dopo l’anomalo avvio. L’utilizzo di ben cinque regolamenti indica la volontà delle istituzioni di vincolare il più possibile gli Stati membri a regole comuni in aree particolarmente sensibili per le politiche economiche, quali la sorveglianza delle posizioni di bilancio, della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche (regolamento UE n. 1175/2011); la prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici (regolamento UE n. 1176/2011); le modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi (regolamento UE n. 1177/2011). Rilevante anche la circostanza che l’uso della procedura ordinaria di approvazione dei regolamenti ha comportato la codecisione del Parlamento europeo; così che tutte le istituzioni politiche (Commissione, Parlamento e Consiglio) hanno concorso all’approvazione del Six Pack.
Una seconda iniziativa legislativa è stata avviata e definita in tempi rapidissimi. Si tratta della costituzione di tre nuove Autorità europee di vigilanza bancaria (Autorità bancaria europea, nota con l’acronimo inglese di EBA), assicurativa (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali, EIOPA) e finanziaria (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, ESMA), istituite con regolamenti (nn. 1093, 1094 e 1095 del 24 novembre 2011) approvati con la procedura ordinaria in codecisione con il Parlamento europeo. Le tre Autorità hanno caratteri omogenei, con funzioni di governo dei rispettivi settori per assicurarne la stabilità e l’efficienza, nonché funzioni di coordinamento delle autorità nazionali. Precisamente, le Autorità dispongono di funzioni normative, di indirizzo e di vigilanza; oltre ad altre funzioni specifiche come la consulenza nei confronti delle istituzioni; la gestione della crisi e del rischio sistemico; la soluzione delle controversie tra autorità nazionali.
Per quanto affini per taluni aspetti alle agenzie europee che sono state istituite negli ultimi decenni, le nuove Autorità hanno caratteri originali quali organi dell’Unione e come vertice dei sistemi delle autorità nazionali di settore; con poteri di regolazione12 e di coordinamento, tanto rilevanti da far dubitare sulla compatibilità con il sistema organizzativo previsto dal Trattato di Lisbona, che ancora riflette la sostanza della c.d. “dottrina Meroni” sull’equilibrio istituzionale nell’ambito dell’Unione (Corte di giustizia, sentenza 13 giungo 1958, Meroni/Alta Autorità, causa 9/56). Non per caso, la Commissione il Regno Unito hanno presentato alla Corte di giustizia un ricorso su un punto chiave del regolamento operativo dell’ESMA (n. 236/2012) che parrebbe mettere a rischio il principio.
Nello stesso periodo è stato approvato il Patto Euro Plus ed avviata la procedura per l’adozione del “Semestre europeo di bilancio”.
Il Patto Euro Plus è un accordo internazionale per coordinare le politiche degli Stati aderenti, finalizzato ad assicurare una loro maggiore competitività, accrescere l’occupazione e rendere sostenibili le finanze pubbliche. A differenza delle misure prima esaminate, il Patto è atipico rispetto al diritto dell’Unione; ma non estraneo. Infatti, pur essendo – come detto – formalmente un accordo internazionale, è richiamato nel diritto dell’UE quale atto allegato alle conclusioni del Consiglio europeo del marzo 2011. E’ stato sottoscritto da 24 Stati, ovvero da un numero assai maggiore di quelli dell’Eurozona. Le previsioni sui vincoli di bilancio sono rifluite nel citato Trattato di Bruxelles del febbraio 2012.
Il Semestre europeo è una procedura che mira a realizzare un efficace coordinamento preliminare delle politiche di bilancio ed economiche degli Stati aderenti e ad assicurare un’adeguata sorveglianza delle loro politiche economiche e di bilancio. A tal fine, sulla base di raccomandazioni del Consiglio e della Commissione, gli Stati presentano alla Commissione europea, entro il mese di aprile di ciascun anno i propri programmi di stabilità e convergenza; nonché i piani nazionale delle riforme. I documenti nazionali sono vagliati dalle istituzioni europee, in contraddittorio con lo Stato membro, e poi finalmente presentati ai parlamenti nazionali nel secondo semestre per la definitiva approvazione13.
Significativamente, a fianco delle iniziative promosse dal Consiglio europeo, dal Consiglio e dalla Commissione, è intervenuta la BCE con un programma straordinario di misure per tentare di mettere in sicurezza l’euro. Oltre al già citato Securities Market Programme, va ricordato l’acquisto di titoli pubblici degli Stati europei più in difficoltà e rilevanti finanziamenti alle loro banche. Gli interventi della BCE non hanno avuto una precisa base giuridica ed anzi sono apparsi ultronei rispetto alle sue competenze per assicurare la stabilità dei prezzi, in sostanziale violazione della regola generale del “no Bail Out”. Tuttavia, è prevalsa la tesi – oltre all’ovvio rilievo della straordinarietà del momento – che la stabilità dei prezzi, missione principale della BCE, non può certo essere garantita in una situazione di grande instabilità monetaria.
4. Nel breve volgere di due anni il continuo aggravarsi della crisi ha manifestato l’insufficienza della base giuridica cui sino a quel momento avevano fatto ricorso le istituzioni europee; come detto, principalmente l’art. 122 TFUE. Da qui la decisione del Consiglio europeo, nelle riunioni del dicembre 2010 e del marzo 2011, di avviare la procedura semplificata di revisione – prevista dall’art. 46, c. 6, TUE – per aggiungere all’art. 136 TFUE un nuovo comma con cui, per gli Stati membri la cui moneta è l’euro, si autorizza la creazione di un Meccanismo permanente a tutela della stabilità monetaria, da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme.
Con questa riforma del TFUE – per cui vi erano i necessari presupposti giuridici e le connesse condizioni; in particolare, il limite della non estensione delle competenze dell’Unione, come chiarito dalla Corte di giustizia nella citata sentenza Pringle – è stato possibile superare il sistema, assai gracile giuridicamente e quasi inesistente nei risultati concreti, delle precedenti Facilities di cui il Meccanismo europeo di stabilità assume il ruolo, sostituendole. Ma la creazione del MES è avvenuta con un atto internazionale, al di fuori del sistema dell’Unione14, per quanto connesso ad esso in vario modo: il Trattato concluso a Bruxelles il 2 febbraio 2012 dagli Stati della zona euro15; senza una vera giustificazione giuridica, vista l’intervenuta modifica dell’art. 136 TFUE.
Il MES è qualificato (art. 1 Trattato) quale istituzione finanziaria internazionale dotata di personalità giuridica16. Per un verso, con molti tratti che l’avvicinano al sistema giuridico dell’Unione europea; per l’altro, con talune caratteristiche originali che solo la prossima esperienza attuativa farà meglio comprendere, come la regola delle decisioni non all’unanimità, ma a maggioranza qualificata. Possono aderirvi solo gli Stati membri dell’Unione; la sua operatività è strettamente funzionalizzata alla politica economica e monetaria comune; i suoi atti sono giustiziabili davanti alla Corte di giustizia (art. 37, c. 3, Trattato) in caso di contestazioni di uno Stato membro, dopo una procedura interna di ricorso decisa dal Consiglio dei Governatori (art. 37, c. 2, Trattato). La presidenza del Consiglio dei Governatori può essere affidata al Presidente dell’Eurogruppo; alle sedute del Consiglio partecipano il Commissario europeo per gli affari economici e monetari e il Presidente della BCE.
Per quanto il MES sia istituzione internazionale collegata all’UE, ha caratteristiche originali che la prossima esperienza attuativa farà meglio comprendere, esempio, come detto, la regola delle decisioni non all’unanimità, ma a maggioranza qualificata. Missione principale del MES è, per l’art. 3 del Trattato istitutivo, di “mobilizzare risorse finanziaria e fornire un sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto, a beneficio dei membri del MES che già si trovino o rischino di trovarsi in gravi problemi finanziari, se indispensabili per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e quella dei suoi Stati membri”.
La capacità di finanziamento del MES è largamente superiore a quella delle precedenti Facilities, in quanto il MES ha un rilevante capitale sottoscritto dagli Stati membri17, con una corrispondente capacità di prestito. Inoltre, il MES può raccogliere fondi con l’emissione di strumenti finanziari o la conclusione di intese o accordi finanziari o di altro tipo con i propri membri, istituzioni finanziarie o terzi. Gli interventi possono consistere in prestiti di vario tipo, sempre condizionati, o in acquisto di titoli di debito sovrano sul mercato primario e su quello secondario. Le condizioni dei prestiti sono particolarmente rigorose e possono giungere alla definizione di un programma di condizioni macroeconomiche.
5. Le caratteristiche “forti” ed originali del MES hanno sollecitato ricorsi in alcuni Stati membri avverso il Trattato di Bruxelles, per asserite incostituzionalità nazionali e/o per violazioni del diritto dell’Unione18; talora unendo nelle contestazioni anche il successivo Trattato Fiscal Compact19, di cui si parlerà. Il contenzioso era potenzialmente devastante, per l’ampiezza dei motivi addotti; in particolare, il ricorso al Bundesverfassungsgericht tedesco sulla legge di ratifica del Trattato istitutivo del MES e del Trattato Fiscal Compact, ove accolto, avrebbe minato l’intera costruzione elaborata dalle istituzioni dell’Unione per rispondere alla crisi; oltre che bloccare ogni altra incisiva iniziativa. L’attesa per la decisione del BVerfG era dunque particolare, vista la recente giurisprudenza dei Giudici di Karlsruhe sul Trattato di Lisbona e le prime iniziative dell’Unione per gli aiuti agli Stati membri in difficoltà20, in cui si è progressivamente attenuato il carattere “Europafreundlich” della Corte tedesca21.
Con il giudizio del 12 settembre 2012 – interlocutorio, ma egualmente assai articolato (oltre 50 pagine) e sostanzialmente decisorio – il BVerfG ha rigettato le richieste interinali dei ricorrenti con un giudizio che conferma l’impianto complessivo del MES. Ma, da una parte, ribadendo il carattere dell’Unione quale organizzazione internazionale; dall’altra, accentuando il ruolo del Bundestag, per cui non basta l’approvazione degli aiuti dell’Unione agli Stati membri in crisi, ed è necessaria una diretta vigilanza sulla gestione di tali fondi da parte degli Stati beneficiari.
La stessa sentenza ha trattato anche la questione collaterale, formalmente diversa dalle questioni sull’istituzione del MES, della legittimità di talune iniziative assunte dalla Banca centrale europea in difesa dell’Euro, nel contesto del Securities Market Programme. Era in particolare contestata l’iniziativa della BCE di acquistare sul mercato secondario titoli di debito pubblico degli Stati in crisi, in quanto priva di base giuridica e non giustificabile con il mero richiamo della straordinarietà della situazione quale fonte del diritto. Al riguardo, il BVerfG, pur rinviando una completa motivazione alla sentenza di merito, è stato particolarmente rigido ed ha negato “licenza bancaria” alla Banca centrale perché il finanziamento al di fuori dei mercati primari aggirerebbe il divieto di finanziamento monetario dei bilanci degli Stati in crisi (art. 123 TFUE).
La sentenza del BVerfGè stata apprezzata negli ambienti europei per il “salvataggio” del MES, ma è apparsa oltremodo discutibile22 per non essersi limitata alle verifiche di costituzionalità degli atti nazionali necessari per assicurare l’operatività del nuovo organismo, tracimando su questioni di puro diritto europeo – tanto sul MES che sulla BCE – che sono riservate alla Corte di giustizia. In particolare, risulta ultra vires il giudizio di compatibilità del Trattato istitutivo del MES con l’art. 123 TFUE.
6. La contestazione più forte sulla modifica al TFUE e sulla conseguente istituzione del MES è venuta dal ricorso di un parlamentare irlandese – Thomas Pringle – con un ricorso ai giudici del suo Paese, nel cui procedimento la Corte suprema irlandese ha sollevato una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, decisa con la già citata sentenza 27 novembre 2011, C-370/12.
La questione pregiudiziale posta alla Corte di giustizia si articolava in due punti: la validità della citata decisione del Consiglio per asserita violazione del sistema di competenze dell’Unione; il possibile contrasto del Trattato MES con varie disposizioni del TUE e del TFUE. Circa la prima questione, la controversia verteva sull’illegittimo uso della procedura semplificata di revisione del TFUE, in quanto questa varrebbe solo per le politiche ed azioni interne dell’Unione e non può essere estesa alle competenze dell’Unione attribuite dai Trattati. Sulla seconda questione, poi, si è sostenuto che il Trattato MES avrebbe attentato alla competenza esclusiva dell’Unione in materia di politica monetaria; nonché alle competenze dell’Unione per il coordinamento della politica economica e per la conclusioni di accordi internazionali, quando tale conclusione può influire sulle norme comuni o modificarne la portata.
L’interpretazione della Corte di giustizia è stata contraria alla prospettazione sostenuta dal ricorrente davanti alla Corte irlandese23. Circa la competenza degli Stati membri a concludere accordi come quello per il MES, la Corte di giustizia ha ribadito il generale principio – scaturente dal diritto internazionale e dal diritto europeo – secondo cui la competenza degli Stati membri dell’Unione a concludere accordi internazionali sussiste alla condizione che gli impegni così assunti rispettino il diritto dell’Unione. Nel caso, il MES non attenta alle competenze dell’Unione in materia di politica monetaria in quanto il suo obbiettivo è la tutela della zona euro nel suo complesso. Così si distingue dall’obbiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi, carattere principale della politica monetaria dell’Unione; e rientra nel coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri. Precisamente, il MES rappresenta un elemento complementare del nuovo quadro normativo per il rafforzamento della governance economica dell’Unione; senza al contempo estendere le competenze attribuite all’Unione dai Trattati.
L’art. 136 TFUE, come modificato, su cui si basa la decisione istitutiva del MES “non crea alcuna base giuridica che consenta all’Unione di avviare un’azione che non era possibile prima dell’entrata in vigore delle modifiche al TFUE” (para. 73). Il MES è organismo di finanziamento degli Stati membri, non di coordinamento delle loro politiche economiche. Inoltre, la sua istituzione non viola alcuna norma del TFUE ed in particolare la clausola di “divieto di salvataggio” (no Bail Out) posta dall’art. 125 TFUE, perché questa disposizione non vieta la concessione di assistenza finanziaria da parte di uno o più Stati membri ad un altro Stato membro che resta responsabile dei propri impegni nei confronti dei suoi creditori; purché le condizioni collegate a siffatta assistenza siano tali da stimolarlo all’attuazione di una politica di bilancio virtuosa. Per quanto attiene alle pretese alterazioni nelle competenze delle istituzioni, la Corte di giustizia ritiene che l’attribuzione da parte del Trattato MES di nuovi compiti alla Commissione, alla BCE ed alla Corte è compatibile con le loro attribuzioni definite nei Trattati. Essendo il MES fuori dall’ambito dell’Unione, tali nuovi compiti attribuiti alle istituzioni sono compatibili con il diritto dell’Unione a condizione che non snaturino le loro competenze previste nel TFUE. Come nel caso avviene, secondo la Corte di giustizia, perché dal Trattato MES risulta che la Commissione e la BCE non ricevono alcun potere decisionale proprio; ma poteri prodromici/strumentali a quelli del nuovo organismo. Le competenze attribuite alla Corte, invece, sono ammesse dal principio generale posto dall’art. 273 TFUE secondo cui può esserle attribuita ogni controversia in virtù di una clausola compromissoria tra gli Stati membri.
La sentenza della Corte si conclude con l’asserzione che il MES non contraddice il principio generale di tutela giurisdizionale effettiva, in quanto il MES non attribuisce alcuna competenza specifica all’Unione e gli Stati membri non attuano il diritto dell’Unione; così che “non trova applicazione la Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che garantisce a tutti una tutela giurisdizionale effettiva”. Si tratta di una conclusione formalmente ineccepibile e coerente con l’impostazione seguita dalla Corte di giustizia, ma che porta al risultato sorprendente di lasciare da parte uno dei maggiori diritti riconosciuti nella Carta dei diritti fondamentali (e dalla CEDU, cui ormai il TUE – art. 6, c. 2 e 3 – si richiama espressamente). Questo più che discutibile passaggio della sentenza ha almeno il pregio di indicare che è indilazionabile assicurare piena tutela giurisdizionale anche nei confronti delle misure assunte dal MES.
7. Al momento la situazione è lungi da un definitivo assetto24, ma egualmente si rinvengono coordinate abbastanza definite, tutte principalmente o esclusivamente riguardanti gli Stati dell’Eurozona, anche se in certi casi aperte ad una partecipazione ulteriore: a) riforme “interne” al sistema istituzionale dell’Unione, assunte con il tradizionale metodo comunitario (o con varianti non significative); b) riforme deliberate con atti internazionali, ma con un impianto strettamente connesso all’UE; c) riforme deliberate con atti internazionali e con caratteri nuovi, solo in parte connesse all’UE.
Gli esempi più chiari del primo tipo di riforme sono le Autorità europee di vigilanza, il complesso di misure del c.d. “Six Pack” e il “Semestre europeo”.
Delle nuove Autorità europee già si è sottolineata la novità anche rispetto alle più recenti agenzie europee, con un modello di funzioni accentrate e di forte impatto sui rispettivi settori. Per quanto assai originali, le Autorità sono state istituite con atti normativi tipici e si inseriscono senza traumi nell’assetto istituzione e funzionale dell’UE. Talune lacune, come per la giustiziabilità dei loro atti, dovrebbero trovare soluzione nella prima giurisprudenza dei giudici dell’Unione o con una rapida integrazione dei tre regolamenti istitutivi.
Del Six Pack approvato dal Consiglio europeo del settembre 2011 si è già pure indicato il carattere “interno” al sistema UE, perché complesso di misure (assunte con cinque regolamenti ed una direttiva), basato sull’art. 136 TFUE, volto ad integrare l’originario Patto di stabilità e crescita del 1997. Alcuni elementi originali del nuovo sistema – principalmente la nuova procedura di sorveglianza multilaterale e il reverse majority voting, che rafforza il potere decisionale della Commissione rispetto al Consiglio – non ne mettono certo in discussione la piena compatibilità con i principi e le regole dell’UE.
Il “Semestre europeo” approvato dal Consiglio europeo nel settembre 2011 su proposta della Commissione, a sua volta, configura una nuova procedura di bilancio per realizzare nell’Unione un miglior coordinamento preventivo delle politiche economiche e di bilancio degli Stati membri. Il Semestre europeo limita fortemente la tradizionale “sovranità nazionale di bilancio”25, in quanto per il primo periodo di ciascun anno si ha una procedura dialettica tra Commissione e Stato membro che inizia con iniziali raccomandazioni della Commissione, cui seguono la presentazione del programma nazionale di stabilità e convergenza – comprensivo della politica di bilancio e delle riforme e degli interventi strutturali – poi la verifica da parte della Commissione (in certi casi con il coinvolgimento anche del Consiglio). Solo dopo questa fase, più o meno di durata semestrale, inizia la fase nazionale del bilancio con la presentazione della proposta al parlamento nazionale.
Per l’effettiva realizzazione del nuovo quadro di governance economica, specie ai fini delle procedure di sorveglianza, sono essenziali i “quadri di bilancio” (Budgetary Frameworks) operanti dal 2013. Si tratta dell’insieme di strumenti, procedure ed istituzioni che regolano le politiche di bilancio, nelle fasi di preparazione, approvazione e gestione del bilancio26.
Per il secondo tipo di misure vale anzitutto ribadire il rilievo – già accennato in relazione alla sentenza del BVerfG – che per gli Stati membri dell’Unione non è precluso concludere trattati internazionali tra di loro, a condizione che tali trattati non mettano a repentaglio le obbligazioni scaturenti per gli Stati membri dal diritto dell’Unione. L’esperienza dell’integrazione europea ha già visto vari esempi di trattati internazionali conclusi tra Stati membri su temi non ancora comunitarizzati, come il controllo del traffico aereo (Eurocontrol del 1960) e la circolazione delle persone (Accordo e Convenzione di Schengen del 1985 e 1990). La seconda condizione è che tali trattati non riguardino materie di competenza esclusiva dell’Unione europea. E’ inoltre non controverso che in caso di contrasto con il diritto dell’Unione questo prevalga, anche quando il punto non è espressamente previsto (come invece all’art. 2, c. 2, del trattato Fiscal Compact).
E’ esempio di questo tipo di misure il Patto Euro Plus (o Patto per l’euro), adottato dal Consiglio europeo del marzo 201127 e poi formalizzato quale accordo internazionale concluso in forma semplificata e sottoscritto da 17 Stati dell’Eurozona e da 6 altri, mirato a rafforzare la competitività dei Paesi aderenti con maggiori impegni rispetto al Patto di stabilità. Si tratta di un accordo che prevede strumenti “leggeri” di intervento, senza carattere vincolante, sviluppando la politica di coordinamento avviata nel 2000 al Consiglio europeo di Lisbona, nota come Metodo aperto di coordinamento. I principali obiettivi del Patto sono lo stimolo alla competitività, la crescita dell’occupazione, la sostenibilità della finanza pubblica.
Tra le recenti misure del terzo modello la più importante è certamente il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance sull’unione economica e monetaria, noto come Fiscal Compact, con cui le parti contraenti si sono impegnate ad introdurre la regola del bilancio in pareggio nelle proprie costituzioni o in atti equipollenti28. Il Consiglio europeo del dicembre 2011 aveva deciso di procedere alla preparazione del Trattato, che è stato poi sottoscritto nel marzo 2012 da 25 Stati membri (con l’eccezione solo del Regno Unito29e della Repubblica Ceca), in vigore dal 2013 dopo la ratifica dei primi dodici Stati della zona euro o, altrimenti, quando tale circostanza si avvererà30.
Il modello istituzionale previsto dal Trattato è al di fuori del sistema dell’UE31, perché sottoscritto tra gli Stati nella loro veste di soggetti dell’ordinamento internazionale e non come Stati membri dell’Unione europea; ma ha una serie di previsioni “passarella” verso l’Unione e, in generale, è impostato in modo da essere assorbito nello stesso una volta risolto il periodo di adeguamento degli Stati contraenti ai maggiori impegni previsti. Per di più, all’art. 2, c. 2, del Trattato istitutivo si riconosce espressamente il primato del diritto dell’Unione.
La decisione di addivenire ad un nuovo trattato internazionale fu assunta, come detto, nel Consiglio europeo del dicembre 2011 per rafforzare gli impegni degli Stati dell’Eurogruppo per il raggiungimento degli obbiettivi comuni del “patto di bilancio”: riduzione progressiva del debito pubblico, pareggio di bilancio, convergenza verso gli obbiettivi di medio e lungo termine, e così via. Tutti finalizzati ad assicurare il pilastro economico dell’Unione economica e monetaria, ora consolidato negli artt. 121, 126 e 197 TFUE. Si tratta, con tutta evidenza, di una sistemazione generale delle particolari decisioni assunte nel biennio precedente per l’Eurozona; con la particolarità dell’uso di un trattato internazionale, anziché di uno strumento di diritto UE.
La prima parte del Trattato Fiscal Compact è dedicata alle regole di bilancio ed al coordinamento preventivo delle politiche economiche degli Stati; la seconda alla governance del nuovo sistema. Per quanto riguarda le regole di bilancio, si prevede la regola fondamentale di introdurre nelle costituzioni nazionali o in atti di equipollente valore il principio vincolante del pareggio di bilancio (in Italia è avvenuto con la legge cost. n. 1/201232), seguito da impegni per la riduzione automatica del debito. Questa parte del Trattato vale per tutti gli Stati membri firmatari, anche della zona non euro; a differenza della seconda che impegna solo gli Stati dell’Eurozona. Il programma di convergenza verso gli obbiettivi di medio termine è fissato dalla Commissione, che poi provvede anche a controllarne l’effettiva realizzazione. L’impegno assunto dagli Stati contraenti ad introdurre nei propri atti costituzionali la regola “aurea” del bilancio in pareggio è vincolante e giustiziabile; ogni Stato può ricorrere alla Corte di giustizia in caso di inosservanza del principio. Egualmente, sono giustiziabili gli atti o le omissioni connesse all’attuazione delle politiche economiche. La “sana finanza pubblica” diviene dunque questione di interesse comune.
Circa la governance, si dà veste formale al Vertice – denominato EuroSummit – degli Stati dell’Eurozona, che già operava informalmente dal 2008, composto dai capi di Stato o di governo dei Paesi dell’Eurozona, più il Presidente della Commissione; ma aperto all’eventuale partecipazione di altri Stati membri dell’UE, ove di comune interesse. Dopo la fase di avvio, in cui la Presidenza del Vertice è stata affidata al Presidente del Consiglio europeo, il Presidente del Vertice sarà eletto tra i suoi membri a maggioranza semplice. Il Vertice si riunisce almeno due volte l’anno, secondo lo schema del Consiglio europeo; potendo dunque essere convocato anche per ulteriori occasioni particolari. Da notare che l’EuroSummit non sostituisce l’Eurogruppo, organo collegiale che opera in modo relativamente informale, sin dall’istituzione dell’euro rimanendo nell’ambito del sistema dell’UE. Vi è dunque il concreto rischio di sovrapposizioni e contrasti tra i due organismi, destinato a risolversi quando il sistema del Fiscal Compact sarà incorporato dal diritto dell’UE. Per il momento, a parte il dualismo ora richiamato EuroSummit/Eurogruppo e quello, meno diretto, tra EuroSummit e Consiglio europeo, il trattato non pone a rischio – né avrebbe legittimamente potuto, secondo i principi sopra esaminati – le competenze delle istituzioni. La Commissione partecipa, come detto, alle riunioni del Vertice, con il suo presidente; istruisce la procedura di contestazione sullo sforamento dei vincoli e propone al Consiglio la decisione. Per il Parlamento europeo non vi sono modifiche alle sue competenze, del resto già non particolarmente rilevanti per misure finanziarie di carattere eminentemente amministrativo.
Per quanto il Trattato non sia incompatibile con il diritto dell’UE, è stato criticato per la frammentazione che produce nel sistema istituzionale dell’Unione, già assai articolato e complesso, e per il rafforzamento dei caratteri intergovernativi del sistema. Tuttavia, come si vedrà meglio più avanti, la novità principale – rappresentata dal ruolo centrale assunto dal Consiglio europeo – non può essere ascritta alla mera dimensione intergovernativa; né la frammentazione del sistema previsto dai Trattati pare per adesso giunta al punto di rottura. Del resto, vista l’impossibilità politica di ottenere l’assenso di due Stati membri (tra cui il Regno Unito), il Fiscal Compact era l’unico modo per assicurare rapidamente una più cogente disciplina di bilancio e per rafforzare il coordinamento delle politiche economiche.
Il Trattato Fiscal Compact prevede esplicitamente all’art. 16 un suo possibile futuro assorbimento nel diritto dell’UE, con l’impegno ad incorporare in questo le maggiori disposizioni, se necessario. Vi sono precedenti esperienze nello stesso senso, come per l’accordo di Schengen.
Gli impegni che per gli Stati contraenti derivano dal Fiscal Compact sono particolarmente rilevanti, tanto da far discutere sulla compatibilità con talune costituzioni nazionali. Si dimentica però che il principio di pareggio di bilancio non è una novità del Fiscal Compact, che solo lo rafforza in quanto era già presente nel diritto dell’Unione, e così vincolava il diritto degli Stati in virtù del principio del primato del diritto europeo su quello nazionale.
8. Dalle principali innovazioni che l’Unione europea – nel suo insieme e come Eurozona, talora in formazione più ampia come per l’Euro Plus e il Fiscal Compact) – ha assunto per rispondere alla crisi economica apertasi nel 2008 risulta un quadro disomogeneo, significativamente diverso dal modello organizzativo e funzionale previsto dal Trattato di Lisbona, e da talune parti considerato addirittura con esso non compatibile. E’ certo, comunque, che quanto avvenuto per effetto della crisi ha segnato la definitiva conclusione del “metodo comunitario” come sviluppatosi per oltre un cinquantennio, basato sul ruolo centrale delle istituzioni europee sovranazionali e sulla progressiva limitazione della sovranità degli Stati membri.
Se è indubbio che siamo in presenza di una situazione istituzionale originale, plasmata dalle circostanze fattuali più che frutto di un razionale disegno riformatore33, non per questo in una prospettiva giuridica si deve concludere che le relative decisioni rappresentino di per sé violazioni del diritto dell’UE. Anzitutto, come si è visto, i nuovi trattati internazionali non risultano in contrasto con il diritto dell’Unione in quanto non pregiudicano gli impegni di fondo del TUE e del TFUE ed i diritti degli altri contraenti. Neanche si può affermare che gli Stati membri che sono addivenuti ai nuovi accordi abbiano violato il principio di leale collaborazione (ora ribadito nell’art. 4, c. 3, TUE), dato che gli accordi sono finalizzati a garantire la sopravvivenza stessa dell’Unione, ancorché con procedure e misure originali. Inoltre, nelle misure recentemente assunte “extra Unione”, non sono sinora risultate specifiche disposizioni in contrasto con il diritto dell’UE; anzi, sono molte le previsioni che intendono assicurare la compatibilità o la permeabilità tra i due sistemi (c.d. norme passerella). Merita citare il caso esemplare della Corte di giustizia che varie disposizioni dei recenti accordi – come l’art. 8 del Fiscal Compact, l’art. 37 dell’ ESM e l’art. 16 dell’ EFSM – richiamano per fondarne la competenza sull’eventuale futuro contenzioso tra gli Stati dell’Eurozona, sulla base dell’art. 273 TFUE che autorizza la Corte di giustizia a conoscere di qualsiasi controversia tra Stati membri quando tale controversia le venga sottoposta in virtù di un compromesso.
Non si può nemmeno affermare che le nuove misure abbiano sconvolto il complessivo sistema di governance dell’Unione. Ne è invece derivato lo sviluppo – con rapidità ed incisività neanche prevedibile prima della crisi – del ruolo del Consiglio europeo, quale motore reale del processo di integrazione e quale istituzione che assume direttamente, oltre alle principali decisioni politiche, anche talune rilevanti decisioni esecutive. Il risultato è apparentemente un diverso equilibrio tra istituzioni sovranazionali ed intergovernative rispetto al precedente metodo comunitario.
Ma è corretto qualificare il Consiglio europeo come istituzione intergovernativa? E’ poi corretto qualificare il Consiglio europeo quale nuovo “esecutivo” europeo, che si affianca, anzi si sovrappone, alla Commissione? Usando le categorie tradizionali la prima domanda è retorica, perché il Consiglio europeo è il più manifesto esempio di istituzione dell’Unione espressione degli Stati membri. Tuttavia il ruolo effettivo esercitato negli anni della crisi dal Consiglio europeo è stato quello di istituzione che “promuove l’interesse generale dell’Unione e adotta le iniziative appropriate a tal fine”34, duplicando ad un livello prettamente politico le funzioni tipiche della Commissione. Uno sviluppo istituzionale del genere poteva determinarsi solo in periodi eccezionali come l’attuale; infatti il Consiglio europeo, assunto solo da ultimo tra le istituzioni dell’Unione, è stato configurato dal vigente TUE come l’organo di indirizzo politico dell’Unione, non quale organo delle decisioni; tanto meno come secondo esecutivo dell’Unione assieme alla Commissione. L’art. 15 TUE è chiarissimo: “il Consiglio europeo dà all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali”. Tale previsione è stata tuttavia superata dai fatti prima ancora di entrare in vigore il 1° dicembre 2009. A partire dall’inizio della crisi nel 2008, il Consiglio europeo – con un Presidente che ha svolto un ruolo sostanzialmente sovranazionale, nell’interesse primario dell’Unione – ha assunto il rango di organo “straordinario” dell’Unione, con poteri decisionali utilizzando strumenti propri del diritto dell’Unione europea ed assumendo misure nuove al di fuori dei Trattati, finalizzate alla tutela dell’Unione europea nel suo insieme35. Si tratta di uno sviluppo che con ogni probabilità non si esaurirà con la fine del periodo di crisi36. Ove così fosse ne deriverebbero rilevanti effetti specialmente nei rapporti con la Commissione e con il Parlamento europeo37.
Per quanto riguarda la questione del possibile instaurarsi di un modello di “esecutivo duale”, quanto sinora avvenuto mostra che il Consiglio europeo si sovrappone alla Commissione per la funzione di indirizzo generale, che nel nostro lessico costituzionale si usa definire “funzione di indirizzo politico”, ma non tocca il suo ruolo “esecutivo”38 che, anzi, viene rafforzato anche rispetto agli Stati membri. Si ha dunque, più che un esecutivo duale, un’articolazione funzionale – senza chiari precedenti nei modelli costituzionali conosciuti – del complessivo “governo” europeo nell’organo prettamente politico, il Consiglio europeo, e nell’organo politico-amministrativo, la Commissione. Novità che dovrà essere definita compiutamente nei Trattati, di per sé non incompatibile con il sistema dell’Unione europea, ma che determina alcune rilevanti questioni; in particolare, l’asimmetria con la Commissione quale istituzione responsabile nei confronti del Parlamento europeo e così legittimata; ed una lacuna di garanzie giurisdizionali sugli atti del Consiglio europeo, allo stato giustiziabili solo in particolari casi malgrado il carattere sempre più decisorio e concreto.
Non sussistono invece tensioni con il ruolo del Consiglio. Quanto avvenuto nel periodo considerato indica infatti che il Consiglio ha confermato la sua posizione istituzionale e politica, come configurata all’art. 16 TUE. Anzitutto perché, a differenza del Consiglio europeo, è istituzione genuinamente intergovernativa, con proprie competenze ben definite (legislative, di bilancio e di coordinamento). In secondo luogo, perché la composizione variabile ne fa un organismo decisionale funzionale alle diverse e più specifiche problematiche.
Al di là dell’impetuoso sviluppo del ruolo del Consiglio europeo, l’assetto complessivo del sistema istituzionale dell’Unione ha resistito alle novità indotte dalla crisi. Già si è detto del Consiglio; per quanto riguarda la Commissione, assunta decisamente dal Consiglio europeo la funzione di indirizzo politico, ha mantenuto i poteri previsti all’art. 17 TUE ed ha svolto appropriatamente il potere di iniziativa legislativa; tanto quello autonomo quanto quello in attuazione degli indirizzi del Consiglio europeo. Basti considerare che la Commissione partecipa direttamente ai nuovi organismi, anche se composti da un numero parziale di Stati membri dell’Unione, e si rafforza nei confronti del Consiglio per effetto del metodo di reverse majority voting previsto dal Six Pack, secondo cui le proposte della Commissione si intendono adottate se non sono state respinte a maggioranza qualificata dal Consiglio. Dalla probabile stabilizzazione definitiva della Commissione quale “esecutivo” dell’Unione, in senso proprio, si avrà il rafforzamento del dato già oggi evidente della Commissione quale “pubblica amministrazione sovranazionale”; con un ulteriore sviluppo dell’integrazione amministrativa nel quadro dell’Unione. Il consolidamento di questi caratteri imporrà una revisione dei criteri di selezione dei commissari europei, maggiormente orientati su esperienza e tecnicità.
La Corte di giustizia ha visto ampliate le sue competenze, come detto, sulla base dell’art. 273 TFUE secondo cui la Corte di giustizia è competente a conoscere su tutte le controversie che le vengano sottoposte sulla base di un compromesso39. Non si tratta del resto di una novità, considerato che già accordi risalenti hanno ampliato pattiziamente le competenze della Corte di giustizia, come per la ben nota Convenzione di Bruxelles sulla giurisdizione ed il riconoscimento delle sentenze straniere, tematica in buona parte poi comunitarizzata con il Regolamento n. 44/2001, ora sostituito dal Regolamento n. 1215/2012.
Per quanto riguarda il Parlamento europeo, le sue competenze formali non sono state intaccate; tuttavia, il ruolo del Parlamento appare sostanzialmente messo in discussione da quanto avvenuto a seguito della crisi e tanto più ove si avesse il consolidamento definitivo dell’attuale posizione del Consiglio europeo; proprio quando con il Trattato di Lisbona il Parlamento era giunto all’apice del successo istituzionale, con una evidente “parlamentarizzazione” del sistema dell’Unione40.
I recenti sviluppi inducono a riconsiderare il ruolo del Parlamento europeo per almeno due ragioni: in primo luogo, il Parlamento europeo, che rappresenta unitariamente i cittadini europei (artt. 10 e 14 TUE), si trova a trattare molte misure che riguardano solo l’Eurozona, con un’evidente asimmetria tra rappresentanza ed interessi disciplinati. Tale circostanza rafforza la tensione tra la rappresentanza generale dell’Unione e quella nazionale, da sempre latente, anche per la difficoltà dei partiti politici a superare effettivamente la dimensione nazionale a favore di un’aggregazione europea. In secondo luogo, il ruolo assunto dal Consiglio europeo – quale istituzione sinora avulsa da qualsiasi legittimazione del Parlamento europeo, anche per quanto riguarda il suo Presidente – pone in discussione l’assetto parlamentare che il sistema istituzionale dell’Unione aveva assunto sin dal Trattato di Maastricht, di seguito coerentemente sviluppato. Tale cruciale questione non può certo essere risolta in via di prassi, ma necessita di una nuova definizione nel diritto primario dell’Unione europea. Quanto sta avvenendo porta ad un’alternativa che, con tutta evidenza, ha sempre carattere intrinsecamente federalistico, ma una diversa legittimazione. L’affermazione del Consiglio europeo quale organo di governo dell’Unione pone in discussione il sistema istituzionale di tipo parlamentare, oggi configurato nel Trattato di Lisbona per il rapporto Parlamento europeo-Commissione, a favore di un diverso modello, simile a quello statunitense, con il Parlamento europeo che controlla e limita l’azione del Consiglio europeo, quale governo “federale” dell’Unione, cui compete il potere decisionale.
La grande crisi non poteva lasciare inalterato il ruolo della Banca centrale europea, l’istituzione funzionalmente più prossima alle problematiche economiche e finanziarie. In effetti, la BCE ha fortemente aumentato i propri poteri41 sia in via di fatto, con una “supplenza istituzionale” legittimata dallo stato di necessità, sia in via formale; tanto da sollevare le obbiezioni della Corte costituzionale tedesca nella già citata sentenza del 12 settembre 2012. Si consideri che nelle more dell’Unione bancaria alcune delle misure recenti hanno avviato procedure di rilievo, come il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 1092/2010 sulla vigilanza macroprudenziale del sistema finanziario nell’Unione europea che ha istituito il Comitato europeo per il rischio sistematico, nel cui ambito la Banca centrale europea ha un ruolo assai rilevante42. Particolarmente incisivo è l’impegno ad interventi illimitati di sostegno del debito pubblico degli Stati membri che accedono al MES e ne accettano le condizioni.
In sostanza, le misure sinora assunte per rispondere alla crisi non hanno demolito le fondamenta dell’Unione43, ma, per un verso, rafforzato alcune tendenze già in atto prima del 2008; per l’altro, avviato una dinamica istituzionale che appare destinata a consolidarsi, andando oltre la crisi da cui trae origine. Quattro sono le principali indicazioni: a) la messa in discussione del quadro unitario dell’Unione, con un forte rilievo dell’Eurozona; b) la centralità del Consiglio europeo, con un ruolo originale che non si inquadra in modo appropriato né nel modello sovranazionale, né in quello intergovernativo; c) l’affievolirsi del “metodo comunitario” su cui si è fondato per oltre cinquanta anni il processo di integrazione europea; d) la realizzazione rapida di misure sostanzialmente federali per l’Eurozona, neanche ipotizzabili sino alla crisi.
Le tendenze ora richiamate sono tra di loro disomogenee, esprimendo una fase di grande incertezza istituzionale, segnata sinora più da risposte specifiche e provvisorie che da un disegno complessivo coerente. Non stupisce che un interessante studio sul tema sia titolato “The Messy Rebuilding of Europe”44. Ma, per quanto il processo sia confuso, si tratta appunto di una ricostruzione dell’Unione, non del suo affossamento.
Protagonista principale di questa nuova fase è, come detto, il Consiglio europeo per cui – a parte la questione già esaminata della compatibilità con il sistema istituzionale dell’Unione – va rilevata negativamente la tendenza ad un metodo decisionale “per direttorio”, che, alquanto sfacciatamente, pone da parte il classico modello intergovernativo ove i Signori dei Trattati sono gli Stati, paritariamente considerati. Nel modello “per direttorio” contano solo pochi Stati, che finiscono per assumere un ruolo – talora anche formale – di “primi non tra pari”. Questa sembra essere la sostanza del c.d. “metodo dell’Unione”45, che la Cancelliera Merkel sta propugnando dalla fine del 2010; pur se reso cosmetico dal richiamo ad un’azione congiunta delle istituzioni europee e degli Stati membri. Un rafforzamento della tendenza in atto potrebbe presto portare ad una situazione che, usando nozioni politologiche, non sarebbe più di governance condivisa, ma di government o, altrimenti detto, di imperium. Conclusione inaccettabile una volta verificato come sia divenuto irreversibile il movimento accentratore verso l’Unione – per una sorta di sussidiarietà invertita – con il condizionamento decisivo dei poteri nazionali di bilancio, l’abbandono del criterio dell’unanimità delle decisioni in materie cruciali come le misure di stabilità, i controlli macroeconomici su gli Stati in difficoltà.
9. Rimane da trattare la questione della capacità delle pubbliche amministrazioni nazionali di assicurare un’attuazione effettiva delle nuove misure in tutti gli Stati membri. Il quadro delle nuove misure adottate per rispondere alla crisi vede una parte di competenze esecutive attribuita agli organismi dell’UE ed un’altra parte – ben più ampia – demandata alle pubbliche amministrazioni degli Stati membri, o ad azioni comuni in cui è comunque determinante il ruolo delle pubbliche amministrazioni nazionali. L’inevitabile rilevanza dell’esecuzione “locale”46, tipica del resto anche delle amministrazioni federali, comporta che per realizzare appieno gli obbiettivi comuni le pubbliche amministrazioni nazionali siano in grado esercitare le loro competenze in modo omogeneo ed efficace. Questo risultato non è attualmente assicurato a causa delle forti differenze nella qualità amministrativa degli Stati membri, e rischia dunque di attentare significativamente alla realizzazione effettiva degli obbiettivi assunti dall’UE a fronte della crisi47.
Con il Trattato di Lisbona i problemi amministrativi sono stati finalmente considerati nella “costituzione” dell’Unione europea, precisamente nel TFUE, che vi dedica varie previsioni assai interessanti sull’assunto che “l’attuazione effettiva del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri, essenziale per il buon funzionamento dell’Unione, è considerata una questione di interesse comune” (art. 197, para. 1, TFUE). Da sottolineare la qualificazione dell’esecuzione come effettiva, visto che non bastano buone regole per assicurare la qualità dell’azione amministrativa.
L’Unione si è perciò assunta il nuovo impegno (caso di competenza detta di “coordinamento”, art. 6 TFUE) di “sostenere, coordinare e completare l’azione degli Stati membri” per assicurare la qualità dell’azione amministrativa. In definitiva, per garantire “la capacità amministrativa (degli Stati) di attuare il diritto dell’Unione” (art. 197, c. 2, TFUE).
La seconda novità del Trattato di Lisbona è l’esplicito riconoscimento dell’amministrazione diretta dell’Unione, con la previsione di regole generali per il suo funzionamento: “nell’assolvere i loro compiti le istituzioni, organi ed organismi dell’Unione si basano su un’amministrazione europea aperta, efficace e indipendente” (art. 298, c. 1, TFUE).
La disposizione ora citata del TFUE impegna le istituzioni, dando loro all’uopo una precisa base giuridica, a disciplinare l’organizzazione e l’azione di queste amministrazioni con regolamenti approvati con la procedura legislativa ordinaria (in codecisione tra Consiglio e Commissione).
I principi generali della prossima disciplina sono esplicitamente considerati dalla disposizione citata (apertura dell’amministrazione, efficienza ed indipendenza), con riferimento sia a principi già definiti dalla giurisprudenza comunitaria, ed in parte “codificati” nei Trattati, sia a nuovi principi che meritano particolare attenzione, come il principio di “indipendenza amministrativa”. Di particolare interesse quest’ultimo principio che pare esprimere un’accezione forte di “indipendenza”, sul modello della Banca centrale europea e delle nuove Autorità europee di vigilanza. La circostanza che l’indipendenza diventi carattere generale dell’amministrazione dell’Unione farà sì che lo stesso carattere valga progressivamente anche per le amministrazioni degli Stati, essendo impensabile che rimanga delimitato all’amministrazione dell’Unione. A stretto rigore, quanto previsto dall’art. 298 TFUE vale soltanto per l’amministrazione dell’Unione; ma sappiamo che i principi europei hanno un’inarrestabile forza espansiva verso il diritto degli Stati membri, ponendosi come parametro anche nei loro confronti e diventando poi parte del loro stesso diritto. Del resto, in un ordinamento sovranazionale, privo del dualismo del tradizionale sistema internazionale, i principi dell’Unione non possono comunque essere considerati diversi e distinti da quelli nazionali.
Le prime iniziative assunte dall’Unione su questa nuova base giuridica “costituzionale” denotano quante innovazioni potranno essere apportate al quadro tradizionale dei sistemi amministrativi nazionali. Esemplare la proposta del Parlamento europeo alla Commissione per una regolamentazione del procedimento amministrativo per l’azione amministrativa di competenza delle istituzioni, agenzie, organi ed organismi dell’Unione europea. La proposta – che significativamente è stata approvata dal Parlamento europeo all’unanimità – si riferisce ad un regolamento organico sul procedimento amministrativo, sulla falsariga della nostra legge n. 241, comprensivo tanto dei principi generali del procedimento amministrativo quanto della disciplina dei provvedimenti conclusivi.
Erano certamente maturi i tempi per una disciplina dell’azione amministrativa dell’Unione, ma non per niente scontato che si procedesse verso una disciplina organica; considerato che in importanti Stati membri – come Francia e Regno Unito – non esiste ancora, né sembra prossima, una disciplina del genere. Il rilievo della proposta riguarda indirettamente anche gli Stati membri; infatti, il nuovo regolamento diverrebbe sostanziale parametro anche per la disciplina nazionale del procedimento, contribuendo alla formazione di principi generali della materia48.
Il terzo importante sviluppo previsto dal Trattato di Lisbona per la questione amministrativa è il riconoscimento della piena vigenza della Carta dei diritti fondamentali – cui viene riconosciuto valore primario nel sistema delle fonti, equiparato ai Trattati – che qua rileva per il nucleo dei diritti connessi alla “cittadinanza” (Titolo V, art. 39 e segg.), tra cui spiccano il diritto ad una buona amministrazione (art. 41), il diritto di accesso ai documenti (art. 42), il diritto a sottoporre al Mediatore europeo casi di cattiva amministrazione (art. 43). Ad essi si erano riferite alcune sentenze dei giudici comunitari; anche se in modo inevitabilmente timido, in considerazione dell’allora incerto valore giuridico della Carta. Era rimasto discusso se questi diritti valessero solo per i rapporti con le istituzioni ed i soggetti dell’Unione, e per i rapporti con gli Stati quando operano nell’attuazione del diritto dell’Unione (come letteralmente risulta dalla Carta, art. 51), oppure quali diritti “amministrativi” di generale valenza anche negli Stati membri.
La vigenza della Carta ha oggi due conseguenze di rilievo: il rafforzamento dei diritti dei singoli nei confronti delle istituzioni e dei soggetti dell’Unione; l’accentuazione nel diritto amministrativo europeo dei profili di libertà, che alterano l’equilibrio tradizionale “autorità/libertà” a favore di queste ultime.
Dal complesso di queste innovazioni scaturiscono le premesse istituzionali per parlare dello “Spazio amministrativo europeo” come modello di diritto positivo; come già dal Trattato di Maastricht del 1992 si era determinato lo Spazio giuridico europeo, quale “ordinamento di ordinamenti” tramite la composizione unitaria nell’ambito dell’Unione dell’ordinamento giuridico di questa e degli ordinamenti degli Stati membri. Un peculiare “sistema di sistemi giuridici” senza precedenti; espressione primaria del carattere sovranazionale dell’Unione.
L’implicazione maggiore dello Spazio amministrativo europeo è la piena integrazione di tutte le pubbliche amministrazioni che operano nell’ambito dell’Unione, accentuando la distinzione tra l’incardinamento organizzativo delle amministrazioni (che rimane particolare per ogni Stato membro e per l’Unione) e la loro funzionalizzazione verso l’Unione, quando operano, in tutto o in parte, per interessi comunitari. Non si tratta di un’assoluta novità, dato che da tempo era acquisito che le amministrazioni nazionali operanti in funzione comunitaria dovevano essere considerate “amministrazioni comuni dell’Unione”; sulla falsariga di quanto già così definito per i giudici nazionali. Tuttavia, il Trattato di Lisbona accentua questo carattere unitario, poiché considerando l’amministrazione quale “questione di interesse comune” implica che le regole sull’azione amministrativa, sulla responsabilità relativa, e implicitamente anche sulla giustiziabilità, divengano progressivamente comuni.
La realizzazione di un effettivo “Spazio amministrativo europeo” sarà fondamentale anche per assicurare la piena attuazione delle molte misure, considerate in questo studio, assunte dall’Unione per contenere e superare la crisi economico-finanziaria e dei debiti sovrani.
1 Nella vastissima letteratura sul tema, cfr. in particolare C.V. Gortsos, Fundamentals of Public International Financial Law, Baden-Baden, 2012; G. Napolitano, The Two Ways of Global Governance After the Financial Crisis, Multilateralism versus Cooperation amongst Governments, in International Journal of Constitutional Law, 2001, n.4.
2 M.P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, Milano, 2011, 340.
3 Divieto di superare i valori di indebitamento e di debito pubblico (rispettivamente il 3% e il 60% del PIL), accompagnato da misure di controllo e sanzione per garantire l’osservanza del divieto. Cfr. il Protocollo 13; nonché il Protocollo 14.
4 G. Tosato, …1.
5 Le politiche nazionali sono una questione di interesse comune, da coordinarsi nell’ambito del Consiglio e, se necessario, da coordinarsi con raccomandazioni assunte a maggioranza qualificata senza tener conto del membro del Consiglio che rappresenta lo Stato membro in questione. Sulle questioni della regolamentazione il testo di riferimento è ora M. De Bellis, La regolazione dei mercati finanziari, Milano, spec. 102 e segg.
6 “L’Unione non risponde, né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni statali (… ) fatte salve le garanzie finanziarie reciproche per la realizzazione in comune di un progetto economico specifico (…)”.
7 J.V. Louis, The No Bail Out Clause and Rescue Packages, in Common Market Law Review, 2010, 971.
8 Sentenza del 27 novembre 2012, nella causa C-370/12, para. 130.
9 Il Consiglio, su proposta della Commissione, può decidere, in uno spirito di solidarietà tra Stati membri, le misure adeguate.
10 La vicenda è analizzata da G.L. Tosato, L’integrazione europea ai tempi della crisi dell’euro, in Rivista di Diritto Internazionale, 2012, 681; A. Viterbo-R. Crisotta, La crisi del debito sovrano e gli interventi dell’UE: dai primi strumenti finanziari al Fiscal Compact, in Dir. Un. Eur., 2012, 325. Per una prospettiva comparatistica, G. Cerina Ferroni-G.F. Ferrari, a cura di, Crisi economica e interessi dello Stato, Modelli comparati e prospettive, Torino, 2012.
11 Regolamento del Consiglio n. 407/2010, dell’11 maggio 2010.
12 Su questa funzione: M. Busnioc, Rule-making by the European Financial Supervisory Authorities: walking a tight rope, in European Law Journal, 2013, 111.
13 Il Semestre europeo è esaminato più in dettaglio al successivo para. 7.
14 Il punto peraltro è discusso: M. Ruffert, The European Debt Crisis and EU Law, in Common Market Law Review, 2011, 1777.
15 Puntuali commenti in G. Napolitano, Il Meccanismo europeo di stabilità e la nuova frontiera costituzionale dell’Unione, in Giornale di Diritto Amministrativo, 2012, 461; R. Perez, Il Trattato di Bruxelles e il Fiscal Compact, ivi, 2012, 469.
16 Cfr. C. Ohler, The European Stability Mechanism: the long road to Financial Stability in the Euro Area, in German Yearbook of International Law, 2011, 47.
17 A regime, per 700 mld di euro; che ne fa l’organizzazione finanziaria più capitalizzata al mondo.
18 C. Pinelli, Le Corti europee, in Prove di Europa unita, cit., 325. Per il quadro della giurisprudenza di diverse corti costituzionali nazionali, modificatosi nel periodo recente: O. Pollicino, Qualcosa è cambiato? La recente giurisprudenza delle corti costituzionali dell’est vis à vis il processo di integrazione europea, in Diritto dell’Unione Europea, 2012, 765.
19 Così il ricorso al Conseil Constitutionnel francese (sentenza n. 2012/653 del 9 agosto 2012) ed i ricorsi alle Corti costituzionali di Portogallo ed Estonia nello stesso anno.
20 Sentenza 30 giugno 2009, la celebre Lissabon Urteil; la sentenza 26 agosto 2010, Mangold; la sentenza 7 settembre 2011; la sentenza 28 febbraio 2012.
21 Cfr. J. Ziller, Solange III, ovvero la Europarechtsfreundlichkeit del Bundesverfassungsgericht. A proposito della sentenza della Corte costituzionale federale tedesca sulla ratifica del Trattato di Lisbona, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2009, 973; R. Caponi, Democrazia, integrazione europea, circuito delle corti costituzionali (dopo il Lissabon Urteil), in ivi, 2010, 387.
22 Un quadro delle questioni è tracciato da M. Bonini, Dai “Signori dei Trattati” al “Dominus del bilancio”: principio democratico, Meccanismo europeo di stabilità e forma di governo parlamentare nella recente giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht tedesco, in AIC, n. 4/2011; Id., Status dei parlamentari e EFSF: controllo democratico e indebitamento pubblico nella giurisprudenza del BVerG, in AIC, n. 1/2012.
23 La sentenza è commentata da E. Chiti, Il Meccanismo europeo di stabilità al vaglio della Corte di giustizia, in Giornale di Diritto Amministrativo, 2013, 148.
24 Rimangono infatti ancora aperte iniziative di notevole importanza come l’unione bancaria, il meccanismo unico di vigilanza, l’attuazione del “Two Pack”, l’accordo per la crescita ed il lavoro. Le prospettive dell’unione bancaria hanno ovviamente sollecitato grande interesse; una sintesi in S. Micossi, L’unione bancaria in costruzione, in Prove di Europa unita, cit., 113.
25 G. D’Auria, Bilancio, controlli comunitari e controlli nazionali, in M.P. Chiti-A. Natalini, a cura di, Lo Spazio amministrativo europeo. Le pubbliche amministrazioni dopo il Trattato di Lisbona, Bologna, 2012, 291; A. Brancasi, Le nuove regole di bilancio, ivi, 273; R. Perez, Cessioni di sovranità e poteri di bilancio, Relazione al 58° Convegno di Studi amministrativi, in corso di pubblicazione. La correlazione tra la nuova disciplina europea e nazionale di bilancio è analizzata da M.T. Salvemini, Il nuovo bilancio dell’Unione, Relazione al 58° Convegno di Studi amministrativi, in corso di pubblicazione; G.L. Tosato, I vincoli europei sulle politiche di bilancio, Convegno ARAE/LUISS, maggio 2012, in corso di pubblicazione.
26 I quadri di bilancio si riferiscono dunque ai criteri contabili, ai criteri di previsione per la programmazione di bilancio, alle regole numeriche, alla programmazione di medio periodo, agli strumenti analitici per assicurare la trasparenza di bilancio. Su questi problemi cfr. l’accurato dossier del Servizio Bilancio del Senato, Un’analisi preliminare della riforma della governance economica europea, Dossier n. 36/2010.
27 Allegato 1 alle Conclusioni del Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011.
28 Cfr. A. Baratta, Legal Issues of the Fiscal Compact. Searching for a mature democratic governance of the Euro, in Diritto dell’Unione Europea, 2012, 647; G.L. Tosato, Il Fiscal Compact, in Prove di Europa unita, cit. 27.
29 Nel Regno Unito è comunque massima l’attenzione per il nuovo Trattato e le sue implicazioni (anche per il rischio dell’emarginazione rispetto all’Eurozona), come dimostra – oltre alla vivace dottrina – il Rapporto della House of Commons del 3.4.2012, HC 1817.
30 Oltre alle precedenti indicazioni, cfr. L.S. Rossi, “Fiscal Compact” e Trattato sul Meccanismo di stabilità: aspetti istituzionali e conseguenze dell’integrazione differenziata nell’UE, in Diritto dell’Unione Europea, 2012, 293.
31 Sulla base giuridica e politica della decisione è viva la discussione; per tutti J. Ziller, The Reform of the Political and Economic Architecture of the Eurozone’s Governance: a legal Perspective, in Governance for the Eurozone: Integration or Disgregation, a cura di F. Allen, E. Carletti, S. Simonetti, Philadelphia, 2012, 115.
32 La legge costituzionale n. 1/2012, oltre alla completa riformulazione dell’art. 81 Cost., aggiunge due importanti riferimenti al diritto dell’Unione europea nella nuova premessa all’art. 97 e nella modifica dell’art. 119. In tema, di rilevante importanza è la precedente legge 7.4.2009, n. 39, sul coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri (modificata dalla legge 31.12.2009, n. 196).
33 La valutazione della mancanza di un chiaro disegno è variamente condivisa: G. Napolitano, L’incerto futuro della nuova governance europea, in Quaderni costituzionali, 2012, 123; E. Chiti, Le risposte alla crisi della finanza pubblica e il riequilibrio dei poteri nell’Unione, in Giornale di Diritto Amministrativo, 2011, 311.
34 E’ ovvio che la citazione si riferisce alle competenze della Commissione, come prevista all’art. 17 TFUE, di fatto ora condivise dal Consiglio europeo.
35 I caratteri nuovi del metodo intergovernativo sono analizzati da E. Chiti-A.J. Menendez-P.G. Texeira, The European Rescue of the European Union, nel volume a cura dei medesimi Autori, The European Rescue of the European Union? The Existential Crisis of the European Political Project, Arena Report n. 3/12 e Recon Report n. 19/2012, 391.
36 La previsione, per quanto discusso ne sia l’esito nel merito, è condivisa da vari Autori, come P. de Schoutheete, The European Council and the Community Method, Notre Europe Policy Paper, no. 56, 2012; S. Fabbrini-S. Micossi, Una proposta istituzionale per l’Europa: legittimazione ed efficienza, in Aspenia on line, 2012.
37 Il tema è ovviamente assai dibattuto, con interpretazioni e soluzioni diverse. I più convinti europeisti (ad esempio lo “Spinelli Group”) sono critici sul ruolo assunto dal Consiglio europeo e, nella prospettiva di un nuovo trattato costituzionale, propongono che la Commissione sia formalmente qualificata come il governo dell’Unione; il potere legislativo confermato al Parlamento ed al Consiglio; il Consiglio europeo riportato a quanto previsto dall’attuale art. 15 TUE.
38 La funzione “esecutiva” è nel diritto europeo ancora di più sfuggente definizione che nei diritti nazionali. Per tutti: D. Curtin, Executive Power of the European Union, Oxford, 2009; D. Curtin-H- Hofmann-J. Mendes, Constitutionalising EU Executive Rule Making Procedures: a Research Agenda, in European Law Journal, 2013, 1.
39 In verità l’art. 273 TFUE sembra delimitare tale opportunità alle controversie “in connessione all’oggetto dei Trattati”, ovvero del TUE e del TFUE.
40 Anche grazie all’ingresso dei parlamenti nazionali nei processi decisionali europei: A. Manzella, I parlamenti nazionali nella via dell’Unione europea, in L’Unione europea nel XXI secolo. “Nel dubbio per l’Europa”, a cura di S. Micossi-G.L. Tosato, Bologna, 2008, 333. Dello stesso A., da ultimo: Dinamiche istituzionali e democrazia nell’Unione europea, in Prove di Europa unita, cit., 349.
41 Oltre al ricordato Securities Market Programme vanno richiamate le Outright Monetary Transactions e le Longterm Refinancing Operations su cui G. Napolitano-M. Perassi, La BCE e gli interventi per la stabilizzazione finanziaria: una nuova frontiera per la politica monetaria?, in Prove di Europa unita, cit., 41.
42 La cruciale rilevanza della vigilanza finanziaria è esaminato da F. Merusi, Il ruolo della BCE nella vigilanza bancaria europea, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2013, n. 2 (in corso di pubblicazione); G. Napolitano, La risposta europea alla crisi del debito sovrano: il rafforzamento dell’Unione economica e monetaria, in Banca, borsa, titoli di credito, 2012, 747; E. Chiti, Le architetture istituzionali della vigilanza finanziaria, in G. Napolitano, a cura di, Uscire dalla crisi. Politiche pubbliche e trasformazioni istituzionali, Bologna, 2012, 157.
43 Questione peraltro discussa, come risulta da E. Chiti, Le istituzioni europee, la crisi e la trasformazione costituzionale dell’Unione, in Giornale di Diritto Amministrativo, 2012, 783.
44 J. Pisani-Ferry, A. Sapir, G.B. Wolff, in Bruegel Policy Bref, 2012, no. 1.
45 Discusso da R. Perissich, Dal “metodo comunitario” al “metodo dell’Unione”, in Prove di Europa unita, cit., 267; P. Ponzano, Un nuovo metodo per l’Europa?, ivi, 281.
46 L’espressione è preferibile a quella di esecuzione “indiretta”, stanti i forti condizionamenti dell’Unione.
47 Per un’ampia disamina di queste problematiche si rinvia a M.P. Chiti, Lo Spazio amministrativo europeo, in M.P. Chiti-A. Natalini, Lo Spazio amministrativo europeo. Le pubbliche amministrazioni dopo il Trattato di Lisbona, Bologna, 2012, 19 segg..
48 Le questioni poste dalla proposta sono esaminate da M.P. Chiti, Towards an EU Regulation on Administrative Procedure? in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2011, 1; P. Craig, Administrative Law. The Acquis, ivi, 2011, 699; B.G. Mattarella, The concrete options for a Law on Administrative Procedure bearing on direct EU Administration, ivi, 2012, 537.