Istituti di vigilanza privata: arriva la liberalizzazione "forzata"

M.M.
In materia di requisiti per il rilascio di licenze di P.S. ai fini dell’attivazione di un istituto di vigilanza privata, la “liberalizzazione” non prende le mosse dal “foro interno”, ma proviene da una pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee.
Il punto sulla “nuova” situazione in materia lo fa la recente decisione della VI Sezione del Consiglio di Stato, n. 5052, pubblicata in data 17.10.2008; tale pronuncia è stata resa a seguito di appello promosso dall’Amministrazione avverso una sentenza di prime cure che aveva annullato il diniego, opposto da una Prefettura, ad una richiesta di rilascio della licenza ex art. 134 T.U.L.P.S.
In particolare, nel caso in parola si versa nella ipotesi comune di diniego opposto dall’Amministrazione ai sensi dell’art. 136, II co. T.U.L.P.S., ovvero per il caso in cui il rilascio possa essere negato “in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti”: tale motivazione è stata sovente utilizzata dalle Prefetture di tutta Italia per evitare scompensi numerici fra forze “private” di polizia e addetti di pubblica sicurezza, con possibile danno per la pubblica incolumità, nonché per mantenere la qualità del servizio evitando un ingresso indiscriminato sul mercato dei soggetti interessati; si è altresì consolidato via via in giurisprudenza l’orientamento che vuole tale ragione di diniego necessariamente sorretta da puntuale motivazione, anche in ordine agli altri fattori “contestuali” che inducano l’Amministrazione a negare il richiesto rilascio, così “sganciando” di fatto la discrezionalità dell’Amministrazione dal mero dato formale e fattuale (id est, mero “calcolo” del numero di licenze già rilasciate in una certa area geografica) e aggiungendovi un quid pluris istruttorio, di natura sostanziale, in tema di tutela dell’interesse pubblico.

A ben vedere, come anche puntualmente rileva Palazzo Spada nel caso in esame, l’equivoco di fondo di tale orientamento stava proprio nell’eccessiva discrezionalità concessa alle Amministrazioni in sede di verifica della sussistenza o meno di ragioni di pericolo per l’interesse pubblico nel caso di rilascio della licenza ex art. 134 T.U.L.P.S.; tale verifica, troppo spesso, comportava da parte delle Autorità preposte valutazioni sconfinanti e incidenti nel campo della concorrenza, la cui tutela per l’effetto usciva necessariamente e sistematicamente sconfitta dalla comparazione con la ben più penetrante tutela della pubblica incolumità.
In altre parole, la concorrenza fra istituti privati di vigilanza finiva per essere di fatto condizionata dalla (probabilmente eccessiva) discrezionalità delle Prefetture.
Tali ambiguità, ad ogni buon conto, sono state ora spazzate via dalla recente sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, C-465/05 (Commissione vs. Italia) del 13 dicembre 2007, che ha ritenuto contrarie alla tutela della libera circolazione dei servizi e del diritto di stabilimento alcune disposizioni in materia, fra cui specificamente il secondo comma del predetto art. 136 T.U.L.P.S.
In altre parole, la Corte Europea, in disparte il sospetto “straripamento” di discrezionalità da parte delle Prefetture di cui si è detto, ha senz’altro sancito la contrarietà di parte della disciplina di cui agli artt. 134 ss. T.U.L.P.S. ai principi in materia di mercato comune europeo, ritenendo eccessivamente gravosi i requisiti ivi richiesti e, soprattutto, non trovando i medesimi alcuna giustificazione in speciali ragioni di ordine pubblico che possano giustificare la deroga ai principi di cui agli artt. 43 e 49 del Trattato di Roma istitutivo delle Comunità Europee.
Il legislatore nazionale, adeguandosi all’indicazione proveniente dalla Corte di Lussemburgo, ha quindi provveduto all’abrogazione della disposizione in parola, ovvero il II co. dell’art. 136 T.U.L.P.S., con il d.l. 59 del 8 aprile 2008, poi convertito con legge n. 101 del 6 giugno 2008.

Di tale evoluzione giurisprudenziale e legislativa dà quindi puntualmente conto la decisione sopra richiamata, che ha il pregio, anche in ragione della sede autorevole in cui è stata resa, di porsi come “sigillo” definitivo all’annosa questione interpretativa dell’ormai abrogato art. 136 co. II T.U.L.P.S.