Atti amministrativi che violano il diritto comunitario: come disapplicarli?

M.P.C.
La decisione del Consiglio di Stato (sez. V, 8 settembre 2008, n. 4263) si segnala per riportare nel solco della tradizione nazionale il tema della disapplicazione degli atti amministrativi in contrasto con il diritto comunitario.
Infatti, il punto cruciale della sentenza sta nell’affermazione secondo cui, pure in presenza di un sicuro contrasto di un provvedimento amministrativo con norme o principi comunitari, tale provvedimento non può essere direttamente disapplicato dall’amministrazione; ma solo rimosso con il ricorso ai poteri di autotutela di cui la stessa amministrazione dispone (e che sono disciplinati dalla legge n. 241/1990, come integrata dalla legge n. 15/2005).
Tale conclusione “nazionalizza” il principio dell’obbligatoria disapplicazione di ogni norma o disposizione amministrativa anticomunitaria, da tempo affermato dalla Corte di giustizia. Detto principio comunitario – che è tipica espressione del più generale principio del “primato” del diritto comunitario – deve dunque essere applicato attraverso il filtro del diritto interno sull’autotutela dell’amministrazione.
Si tratta di una posizione oltremodo discutibile, sia in riferimento al diritto comunitario, la cui primazia viene sostanzialmente posta in discussione; sia perché comporta l’annullamento della sentenza del TAR Sardegna, impugnata nella fattispecie (sentenza sez. I, 27.3.2007, n. 549), assai più articolata nella distinzione tra disapplicazione comunitaria ed ordinari poteri di autotutela.
In ogni caso, nelle more di un auspicato ripensamento delle conclusioni giurisprudenziali in esame, occorre prendere atto che la decisione di disapplicare un provvedimento amministrativo per anticomunitarietà deve osservare le condizioni e seguire le procedure di cui alla citata legge n. 241.