Enti locali e annullamento in autotutela di contratti derivati: intervista per la rivista www.dirittobancario.it
/Intervista a cura di: Andrea Marangoni
Con la sentenza n. 5032 del 7 settembre scorso, il Consiglio di Stato ha riconosciuto agli enti locali la possibilità di annullare, in via di autotutela, i contratti derivati stipulati in occasione di operazioni di ristrutturazione del debito.In Italia si stima che siano quasi 500, fra regioni, provincie e comuni, gli enti locali che negli ultimi anni hanno fatto ricorso a strumenti finanziari derivati. Secondo il Tesoro tali enti avrebbero in bilancio derivati per un valore nozionale di 33 miliardi.La vicenda ha visto coinvolte, da un lato, la Provincia di Pisa, dall’altro, le inglesi Dexia Crediop S.p.A. e Depfa Bank Plc..A rappresentare e difendere la Provincia di Pisa è stato il Prof. Avv. Mario Pilade Chiti, ordinario di diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Firenze.
Prof. Chiti, la sentenza del Consiglio di Stato rappresenta un’importante vittoria per gli enti locali, tanto che già si parla di un “effetto domino” per gli altri enti coinvolti in vicende di derivati. Come valuta i possibili scenari futuri?
Non c’è dubbio che la sentenza n. 5032/2011 della V° Sezione del Consiglio di Stato costituisce una sentenza guida per la complessa materia, sia per i procedimenti ancora aperti che per i casi già passati al contenzioso.
Il caso della Provincia di Pisa era infatti il primo che arrivava al giudizio del Consiglio di Stato, con una procedura velocissima che dimostra quanto le recenti riforme abbiano funzionato per garantire l’effettività della tutela. Le sentenze di primo grado erano del novembre dello scorso anno e del gennaio 2011; sono giunte al giudizio finale di appello a metà maggio. Il Consiglio di Stato ben sapeva che si trattava del primo caso di un possibile amplissimo contenzioso, ed ha voluto assicurare una sentenza particolarmente ampia e motivata. I principi posti dalla sentenza vanno ben oltre il caso che aveva originato il giudizio.
In questo senso, si può pensare ad un effetto domino: le molte amministrazioni pubbliche che per i contratti derivati si trovano in situazioni simili a quella della Provincia di Pisa potranno fare sicuro riferimento ai principi generali posti dalla sentenza.
Il prevedibile scenario futuro per la questione dei “derivati” è dunque per una messa in discussione di molti contratti stipulati tra enti locali e regionali, da un lato, e banche dall’altro. Certo però che sull’atteggiamento che assumeranno le amministrazioni influirà molto il problema della giurisdizione sul contratto: nei casi – che risultano molto numerosi – in cui i contratti sottoscritti prevedono come foro competente il giudice inglese, va messa in conto una difficile (e soprattutto assai costosa) controversia a Londra, ove il giudice locale può non accettare l’impostazione “nazionale” seguita dal giudice italiano; con scenari di conflitti di giurisdizione quanto mai complessi. Nei casi invece di giurisdizione italiana, la sentenza del Consiglio di Stato appare davvero decisiva. In particolare, per quanto riguarda l’impostazione pubblicistica della vicenda, con l’affermata legittimità di uno jus poenitendi dell’amministrazione anche dopo la sottoscrizione del contratto, per preminenti ragioni di salvaguardia del pubblico interesse.
Alla luce del pronunciamento del Consiglio di Stato, cosa si sentirebbe di consigliare ad un ente locale con passività legate ad un’operatività in strumenti finanziari derivati?
Gli enti locali e regionali che si trovano nella situazione della Provincia di Pisa attendevano la pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato per avviare decisamente le verifiche preliminari al legittimo esercizio dell’autotutela amministrativa. La legittimità del ricorso a questo speciale potere dell’amministrazione è stata riconosciuta dal Consiglio di Stato in via di principio; ma va tuttavia verificato in concreto se il suo esercizio sia stato svolto in modo legittimo. Occorrerà dunque che le amministrazioni che hanno dubbi sulla convenienza economica di quanto svolto nel recente passato affidino consulenze tecniche e, di conseguenza, valutino se è stata rispettata la legge n. 448/2001 (art. 41) e l’altra normativa che il Consiglio di Stato ha puntualmente ritenuto applicabile al caso dei derivati.
Alla luce della sentenza del Consiglio di Stato, rimane invece marginale l’ipotesi di accordi e transazioni tra le amministrazioni e le banche. Infatti, il richiamo al fondamento costituzionale dell’autotutela (buon andamento, ecc.) impone alle amministrazioni, almeno come regola (smentibile solo con specifiche motivazioni connesse alla fattispecie), di procedere all’annullamento dei propri atti, e quindi del contratto, in caso di accertate violazioni di legge.
Ritiene che questa decisione possa in qualche modo minare il rapporto fra banche (soprattutto internazionali) e enti locali italiani, stante il possibile timore di un “abuso di autotutela” che possa travolgere gli impegni contrattuali assunti, compromettendo la stabilità del sistema?
Le banche che hanno proposto alle amministrazioni il modello dei “derivati” ben conoscevano, o dovevano conoscere, i principi di diritto amministrativo italiano applicabili al caso; anche i principi relativi all’autotutela (che del resto tutti gli ordinamenti conoscono, pur con gradi diversi). Giustamente il Consiglio di Stato ha voluto sottolineare che vari passaggi chiave della sentenza altro non sono che sviluppi al caso dei derivati di giurisprudenza formatasi nei giudizi amministrativi degli ultimi due lustri.
L’“abuso di autotutela” non può certo escludersi (come anni fa ci fu, al contrario, un dilagare eccessivo di favore per i derivati: un “abuso di derivati”). Ma sono certo che, in caso di veri abusi, il giudice amministrativo sanzionerà le illegittimità perpetrate.
Nel riconoscere la liceità dell’annullamento in autotutela dei derivati da parte della Provincia di Pisa, il Consiglio di Stato ha posto l’evidenza sulla presenza di costi impliciti al momento della stipula dei contratti. Costi che non hanno permesso all’ente di valutare in concreto la convenienza economica delle operazioni. Il mancato rispetto degli obblighi informativi che, seppur indirettamente attraverso il meccanismo dell’autotutela, viene fatto valere quale causa di invalidità del contratto; tema questo ampiamente dibattuto, con esiti opposti, in sede civile. Solo una lezione di diritto o piuttosto un monito per le banche?
La sentenza n. 5032 del Consiglio di Stato è sicuramente una lezione di diritto, se per tale si intende una sentenza ben motivata, con un valido substrato di cultura giuridica. Ma ha anche effetti diretti, sia ovviamente sul caso specifico che l’ha originata, sia per l’intera problematica. In questo senso si può parlare di “monito alle banche”; le quali non potranno non tenerne conto nei rapporti con gli enti pubblici in tema di “derivati”.
Il punto dei costi impliciti e dei necessari obblighi informativi che fanno carico alle banche è uno dei più articolati dell’intera sentenza di appello; mentre i giudici di primo grado avevano dato una considerazione solo sommaria a tale cruciale aspetto (per quanto in linea con la sentenza del Consiglio di Stato). Le banche hanno cercato in tutti i modi di dimostrare che non vi erano costi occulti nella fattispecie; anzi, che non si poteva correttamente parlare di costi occulti in questo tipo di contratti, e che comunque non vi era alcun obbligo di informazione della parte contraente. Il Consiglio di Stato ha dismesso completamente tale assunto, con una conclusione che non sembra delimitabile ai giudizi amministrativi, ma valida anche nel contenzioso civile in corso.
Il Consiglio di Stato ha respinto l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, pur derogata convenzionalmente dalle clausole contenute neimaster agreement in favore del giudice inglese. Ritiene che si renderà necessaria una modifica ad hoc dei contratti generalmente utilizzati nella prassi internazionale?
La questione della giurisdizione è stata ampiamente trattata dalla sentenza in esame, in primo luogo per quanto riguarda il giudice nazionale competente in materia (ordinario o amministrativo); in secondo luogo, per il rapporto tra giudice italiano e giudice inglese. La prima parte della sentenza è dedicata ad un’accurata motivazione circa la competenza del giudice amministrativo in ordine alla valutazione della legittimità del potere esercitato dalla Provincia di Pisa; potere che il Consiglio di Stato configura come tipicamente pubblicistico e pertanto tale da rientrare nella sua giurisdizione (anche perché per le banche in questo caso non si configurano diritti soggettivi, ma interessi legittimi). Pure questa parte farà certamente scuola, anche se le banche hanno ancora, in principio, la possibilità di presentare ricorso per Cassazione avverso la sentenza in esame per profili di giurisdizione.
Ancora più rilevante è poi la parte della sentenza che, in sostanza, rende irrilevanti i giudizi inglesi avviati o in via di proposizione dalle banche di fronte al giudice inglese. L’impostazione del Consiglio di Stato è incentrata, come detto, sulla legittimità pubblicistica del momento genetico del contratto. Una volta considerato valido l’esercizio dell’autotutela, il giudice inglese perde l’oggetto del suo contendere, che è il contenzioso sull’esecuzione del contratto. Assai interessante la motivazione circa l’insussistenza, nel caso, di diritti soggettivi disponibili.
Si tratta di una conclusione di enorme interesse per gli enti pubblici, che, dopo la dabbenaggine di aver sottoscritto contratti che prevedevano il foro competente a Londra, si ritrovano a “giocare in casa” e di fronte ad un giudice amministrativo che rivendica la propria giurisdizione esclusiva nei confronti del giudice ordinario. Per di più, con costi di contenzioso assai meno elevati.
Sul punto, la sentenza non mette certo fine, da sola, al conflitto delle giurisdizioni nazionali. Si vedrà presto come il giudice inglese considererà questa pronuncia, specie una volta che diventi cosa giudicata. La questione è a mio avviso molto aperta, anche in considerazione della recente sentenza della Corte di giustizia (del 12.5.2011), che, per quanto un po’ eccentrica al nostro contendere, pare leggere il regolamento comunitario n. 44 del 2000 in modo un po’ diverso dal Consiglio di Stato.
Ritiene infine che la decisione del Consiglio di Stato possa incidere sul tanto atteso Regolamento del Ministero dell’economia e delle finanze in materia di operazioni derivate degli enti locali?
Certamente il prossimo regolamento ministeriale dovrà tenere conto della sentenza del Consiglio di Stato, massimo organo di giustizia amministrativa e giudice competente sull’eventuale illegittimità del regolamento stesso. Anche per questo si tratta di una pronuncia “guida”.