Sempre obbligatoria e a pena di esclusione la dichiarazione di moralità, anche se non prevista dalla lex specialis
/F.B.
La dichiarazione circa l’insussistenza delle cause di esclusione ex art. 38 d.lgs. n. 163/2006 è sempre obbligatoria, anche se non prevista dalla lex specialis.
Lo conferma il Consiglio di Stato con la sentenza della V Sezione, n. 3742 depositata il 12 giugno 2009, relativa a fattispecie in cui la concorrente aveva omesso la dichiarazione circa la moralità professionale ai sensi dell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici (e già in passato, art. 75 d.p.r. n. 554/99 e analoghe norme del d.lgs. n. 157/1995 e del d.lgs. n. 358/1992).
In effetti, la legge pone i limiti alla partecipazione, e rimette (co. 2 dell’art. 38) al concorrente la relativa dimostrazione proprio per tramite dell’autodichiarazione (“il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle disposizioni del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica anche le eventuali condanne per le quali abbia beneficiato della non menzione”).
Ancorchè per taluni casi specifici, poi, l’Amministrazione sia poi obbligatoriamente tenuta a verificare le dichiarazioni in parola (come avviene per i precedenti penali, tramite la verifica del casellario), pertanto da una parte vi sono requisiti generali a pena di esclusione, dall’altra il concorrente è tenuto alla relativa dichiarazione.
Pienamente condivisibile, quindi, la conclusione di cui alla sentenza in commento per cui sussiste comunque “la piena obbligatorietà della dichiarazione (CdS, 7 maggio 2008, n. 2090; 15 gennaio 2008, n. 36). Le dichiarazioni sono in realtà richieste per finalità che non è solo di garanzia sull’assenza di ostacoli …, ma anche per una ordinaria verifica sull’affidabilità… : la carenza di condizioni ostative costituisce un elemento successivo rispetto alla conoscenza di una situazione di astratta sussistenza dei requisiti morali”. Insomma: la mancata produzione della dichiarazione ex art. 38 ciostituisce causa di esclusione a prescindere se poi, in concreto, sussistano o meno le cause ostative.
E poiché la norma è imperativa, e di ordine pubblico, essa opera giocoforza anche in caso non sia ribadita dalla lex specialis della gara.
Si comprende, quindi, come l’onere di attenzione richiesto dall’ordinamento alle imprese all’atto di partecipare alle gare raggiunga – e giustamente – livelli estremamente elevati.
Non solo, infatti, una volta sancito in via generale l’obbligo di rendere le dichiarazioni esso vale per tutte le numerose ipotesi che la giurisprudenza ha elaborato (si pensi all’estensione dell’obbligo agli institori e ai procuratori speciali).
Ma, anche, diventa davvero modesto l’affidamento che può farsi sulla lex specialis, che, se mal redatta, può risultare financo ingannevole. La sentenza in esame offre spunti significativi anche su altra tematica significativa, connessa alla validità della SOA.
Infatti, l’art. 15 del d.p.r. n. 34/2000, come novellato, sancisce la regola della efficacia quinquennale della SOA, salva verifica triennale della stessa da parte dell’organismo di attestazione.
La questione che ha dato esito al contrasto interpretativo riguarda proprio la verifica triennale sul mantenimento dei requisiti, in quanto parte della giurisprudenza ritiene (ferma l’efficacia per cinque anni) che la SOA perda valenza solo quando la verifica triennale si sia svolta ma abbia avuto esito negativo (cfr. es. Consiglio di Stato, sez. V, n. 4817/2005 e CGA Sicilia n, 1/2008, citate nella decisione in commento); mentre altra giurisprudenza equipara a tale ipotesi quella del mancato svolgimento della verifica.
La decisione n. 3742 esaminata aderisce a tale seconda, e più rigida, lettura, in quanto
“ove il mancato compimento della verifica triennale fosse privo di effetti non avrebbe alcuna ragione prevedere un adempimento che non modifica in alcun modo la validità quinquennale dell’attestazione” (in senso analogo, T.A.R. Calabria, Catanzaro, 28 luglio 2008, n. 1100).
Il primo e diverso orientamento, peraltro, è stato anche recentemente confermato da T.A.R. Lazio, Roma, 8 maggio 2009, n. 4999 (“l’art. 15 bis, comma 1, del d.P.R. n. 34 del 2000, dispone che l’impresa deve sottoporsi alla verifica di mantenimento dei requisiti presso la stessa SOA che ha rilasciato l’attestazione oggetto di revisione almeno sessanta giorni prima della scadenza del previsto termine triennale e che la SOA , nei trenta giorni successivi, deve compiere l’istruttoria. Detta disposizione deve essere interpretata nel senso che all’omissione dell’adempimento della verifica triennale non possono connettersi, in via ermeneutica, effetti solutori o decadenziali che la disposizione omette di sancire e che, anzi, ricollega esplicitamente al solo esito negativo della verifica”. La questione resta pertanto aperta.